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di MARCO GRASSI La chiamano «l'ultima follia del ciclismo», ma è nota anche come «Inferno ...

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Nel ciclismo iperprofessionistico e tecnologico del terzo millennio, la Parigi-Roubaix è ogni anno un salutare tuffo nel passato, visto che le condizioni del tracciato, coi tratti di sconnesso fondo stradale in pavé, sono gli stessi che dal 1896 vengono percorsi dal gruppo, nella polvere (se va bene) o nel fango (se va male e piove, eventualità facilmente verificabile). Il problema è che sempre meno protagonisti delle due ruote si misurano con la Roubaix. Vent'anni fa Bernard Hinault, che odiava questa corsa, si obbligò a vincerla (e ci riuscì), oggi non è nemmeno pensabile che un Armstrong provi a imitare l'esempio del grande bretone. Ma il discorso è vecchio, e non vale la pena rimpiangere gli assenti in questa Parigi-Roubaix che è diventata quasi un esercizio di stile, una prova per specialisti. Meglio concentrarsi su chi c'è: Johan Museeuw, vincitore lo scorso anno (e anche nel '96 e nel 2000), ha tutto per ripetersi e per centrare una storica quaterna. Il fiammingo è reduce da qualche guaio fisico, ma è in netta crescita fisica; se la vedrà col connazionale Van Petegem, fresco vincitore del Giro delle Fiandre e primo concorrente per il vecchio Johan. Andrea Tafi, già primo a Roubaix nel '99, proverà a riscattare un momento fin troppo opaco, ma ad occhio pare avere meno chance degli avversari. I tifosi italiani potrebbero però sorridere per la prestazione di Dario Pieri, tornato a buoni livelli dopo un anno nero, e investito del ruolo di leader della Saeco: il 27enne fiorentino insegue un risultato che darebbe un senso a un'intera carriera. E non è detto che non riesca a trovarlo attraverso i 26 settori di pavé previsti sul percorso odierno.

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