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Obbligo vaccinale, l'intervista all'avvocato Massimiliano Albanese

Obbligo vaccinale, l'intervista all’ Avv. Massimiliano Albanese, Managing Partner dello Studio Legale e Tributario LEXAMP (www.lexamp.it). Nell’era in cui la “certificazione verde” è divenuta requisito, ormai praticamente indispensabile, per l’esercizio di qualsiasi attività lavorativa, sorge una lunga serie di dubbi, che sono spesso frutto della non corretta informazione: sciogliere alcuni di essi appare dunque utile.

Il Governo ha già da alcuni mesi previsto l’obbligo di esibizione del c.d. green-pass per l’accesso ai luoghi di lavoro. Successivamente, con il D.L. 1/2022 è stato introdotto l’obbligo di vaccinazione per tutti coloro che abbiano compiuto il cinquantesimo anno d’età. Al medesimo obbligo erano già soggette una serie di categorie, tra cui gli esercenti le professioni sanitarie e socio-assistenziali, i docenti, il personale della difesa e delle forze di sicurezza e di soccorso pubblico.

E’ evidente, quindi, che l’obbligo di vaccinazione interessa una porzione molto ampia della popolazione italiana.

Ma è legittimo imporre un obbligo di vaccinazione?
L’art. 32 della nostra Costituzione chiarisce, al comma II, che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», precisando inoltre, che «la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». E’ quindi necessario accertarsi che l’obbligo di vaccinazione non travalichi questi limiti.

Sul punto, un utile parametro è fornito dall’art. 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo che, in tema di rispetto della persona umana, pur vietando l’ingerenza dell’autorità pubblica nella vita privata e familiare delle persone, ammette l’intervento autoritario nel caso in cui, attraverso una previsione di legge, si attui una misura necessaria, tra le altre ipotesi, alla sicurezza pubblica ovvero alla protezione della salute, dei diritti e delle libertà altrui.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza n. 116/2021 resa nel caso Vavricka contro Repubblica Ceca, ha elencato le condizioni nelle quali l’intervento pubblico è lecito, riferendosi proprio all’obbligo vaccinale contro il covid19. Tale obbligo costituisce un’ingerenza particolarmente forte nella vita privata delle persone ma, se la campagna vaccinale è finalizzata a tutelare la collettività dai rischi di una malattia per la cura della quale vengono completamente saturate le capacità dei sistemi sanitari, adottare misure efficaci per la riduzione dell’ospedalizzazione appare necessario.

Deve essere tuttavia garantita la possibilità di scelta tra i vaccini disponibili, almeno tra quelli ritenuti sufficientemente sicuri. Deve inoltre essere previsto un efficace sistema di esenzioni per valide ragioni e deve essere sempre assicurato un pronto indennizzo per i danni eventualmente cagionati dal vaccino. A tali condizioni, secondo la C.E.D.U., l’obbligo vaccinale non viola i diritti umani fondamentali e risulta, quindi, pienamente legittimo.

La nostra Corte Costituzionale si era già espressa ben prima del diffondersi del covid19, riguardo altre vaccinazioni obbligatorie: tra le principali pronunce, le sentenze n. 307/1990 sull’antipoliomielitica, n. 258/1994 sull’antitetanica e n. 5/2018 sulle vaccinazioni dei minori, sono tutte conformi nel ritenere lecita l’imposizione dell’obbligo vaccinale.

Secondo la Consulta, occorre che il trattamento vaccinale sia diretto a migliorare la salute di chi vi è assoggettato ed a preservare la salute degli altri. Esso può incidere negativamente sulla salute di chi lo riceve solo nei limiti delle conseguenze normalmente previste e ritenute tollerabili nel bilanciamento tra rischi e benefici: nel caso di danni ulteriori, deve essere garantito un efficace sistema legale che consenta un equo indennizzo, facendo inoltre salva la possibilità del risarcimento di tutti i danni.

A differenza del risarcimento, che si fonda sul generale divieto di causare danni ingiusti, per colpa o con dolo, e presuppone sia un nesso di causalità tra evento e danno, sia la prova dello stesso danno, l’indennizzo è invece una fattispecie giuridica di maggior garanzia per il cittadino: esso consegue al mero accertamento del fatto e non richiede la puntuale verifica di una colpa, sicché la protezione che offre è certa e predefinita per legge, senza necessità che intervenga un giudice a riconoscerla.

A tale riguardo, la Legge 210/1992 stabilisce il diritto ad un indennizzo da parte dello Stato per chiunque riporti lesioni o infermità tali da determinare una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica, che siano conseguenza di vaccinazioni obbligatorie.

E’ chiaro, quindi, che i soggetti obbligati alla vaccinazione contro il covid19 rientrano in tale previsione e sono quindi tutelati. Peraltro, sulla scia della giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto non sussistere una differenza qualitativamente rilevante tra “obbligo” e “forte raccomandazione” di vaccinazione, il Governo ha da ultimo esteso le garanzie a tutti i cittadini e, tramite il D.L. 4/2022 (c.d. “decreto sostegni ter”), ha introdotto l’indennizzo anche per i danni causati da vaccini solo raccomandati.

E’ stato pertanto stanziato un fondo per gli indennizzi: chiunque risulti danneggiato dall’inoculazione del vaccino anti-covid19 potrà rivolgersi al Ministero della Salute e, attraverso un accertamento del tutto simile a quello che si svolge per il riconoscimento delle altre invalidità, potrà ottenere, a seconda dei casi, un assegno periodico vitalizio, reversibile, ovvero un assegno “una tantum”.

In tale quadro giuridico, tra legittimità costituzionale e garanzia d’indennizzo, si inserisce la sentenza del Consiglio di Stato n. 7045/2021, che offre un’ulteriore prospettiva interpretativa sul tema, chiara e definitiva.

Secondo tale pronuncia, l’obbligo di vaccinazione non tradisce il primato riconosciuto dalla Costituzione alla tutela dei diritti della persona umana, nonostante sussista il c.d. “ignoto irriducibile”: vale a dire l’insuperabile margine d’incertezza scientifica che rende impossibile, almeno allo stato delle conoscenze, prevedere sul lungo periodo l’effettivo rapporto tra rischi e benefici dei vaccini.

Attraverso la campagna di vaccinazione, si è inteso tutelare l’intera collettività e, in speciale modo, le persone più vulnerabili ed esposte al rischio di contrarre la malattia in forma grave: già tale semplice constatazione consente di ritenere l’obbligo vaccinale un’attuazione del principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione, secondo cui è richiesto a tutti «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Si tratta, in altre parole, di un sacrificio individuale ben sopportabile, che ciascuno è chiamato a compiere per il rispetto e la tutela dei più alti valori della collettività.

Dalla legittimità, così ricostruita, dell’obbligo vaccinale discende, naturalmente, anche la piena legittimità dell’adozione di sistemi volti a controllarne il rispetto, sanzionando i trasgressori. La logica della certificazione verde è infatti quella di conferire un “lasciapassare”, limitando fortemente l’accesso alla vita sociale e lavorativa, per coloro che non presentano idonee garanzie di mitigazione dei rischi sanitari per la collettività.

In quest’ottica, dunque, il green-pass, soprattutto nella versione rafforzata (che è, appunto, quella ottenibile con il completamento del ciclo vaccinale o la guarigione dalla malattia), può essere considerato come un ulteriore strumento di attuazione del principio di solidarietà sociale, che in quanto tale non viola le libertà fondamentali dei cittadini, nella misura in cui tali libertà sono necessariamente condizionate dal rispetto di quelle altrui: inclusa, tra queste ultime, specialmente la libertà di preservare la propria salute, mitigano i rischi connessi al diffondersi del covid19.

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