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Gnam, radical chic sconfitti: il Futurismo è diventato popolare

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Raffaele Serafini
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Poveri radical chic, poveri giornaloni di sinistra, povere pseudo trasmissioni televisive d’inchiesta, anche dal punto di vista culturale arriva una sonora batosta. Ciò che a loro sembrava inaccettabile, ovvero una grande mostra dedicata al Futurismo e promossa dall’attuale Ministero della Cultura, non solo si è realizzato ma sta anche riscuotendo un enorme successo di pubblico. E la gente ha sempre ragione, sarebbe ora che la sinistra ne facesse tesoro. Preceduta per mesi, molto prima dell’inaugurazione, da una valanga di bugie, pettegolezzi, maldicenze, stroncature, definita pregiudizialmente una «cialtroneria», «pasticcio impresentabile» e una «mostra disastro», la rassegna intitolata «Il Tempo del Futurismo», presentata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma e curata da Gabriele Simongini con oltre 500 fra opere d’arte, libri, riviste, manifesti, documenti, oggetti scientifici e mezzi di locomozione dell’epoca, col suo immediato successo di pubblico sta spazzando via le polemiche sciogliendole come neve al sole. E si conquista di diritto il ruolo di una fra le più importanti mostre mai dedicate al Futurismo.

 

 

Del resto, alla conferenza stampa di presentazione, dopo aver visto l’imponenza e la bellezza della mostra, nessuno degli oltre 120 giornalisti presenti, molti dei quali giunti per raccontare la realizzazione di un «disastro», ha avuto il coraggio di fare qualche domanda scomoda, essendo impossibile non elogiare la mostra. Lunedì scorso l’inaugurazione, con lunghe file all’entrata, ha visto la partecipazione di 1200 persone trasformandola in un evento che non ha precedenti, vitale, gioioso, frenetico. Chi era presente, come il sottoscritto, può testimoniare l’incredulità e l’entusiasmo dei visitatori chiamati a percorrere fra innumerevoli capolavori le 26 sale della mostra, distribuite in quasi 4000 metri quadrati. Molti si chiedevano, di fronte alla bellezza della rassegna, come fosse stata possibile una campagna denigratoria e diffamatrice così intollerante e pretestuosa. Come dimenticare che un quotidiano attento ai «Fatti» (ad intenditor poche parole) aveva sostenuto che la mostra fosse costata addirittura trecento milioni di euro, come fosse una porzione di manovra finanziaria? Il costo reale è stato di 1,5 milioni di euro e di fronte al risultato ottenuto pare addirittura poco. I giornaloni del gruppo GEDI si stanno dedicando da mesi a questa mostra con l’obiettivo, ormai miseramente fallito, di farla saltare, definendola impresentabile, imbarazzante, ecc. e arrivando al punto di affermare castronerie varie fra le quali spicca quella che non sarebbe arrivata in prestito nessuna opera dall’America, mentre ce ne sono ben cinque, capolavori assoluti provenienti dal Moma e dal Metropolitan di New York e da Philadelphia. Il giorno dopo l’inaugurazione, non potendo negare apertamente il successo epocale della mostra, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari ha cercato di sminuire

 

 

«Il Tempo del Futurismo» dicendo che è «una mostra formato famiglia», senza capire che questo è un elogio e che proprio questa distanza siderale dalla gente porterà la sinistra a subire ancora una sequela di sonore sconfitte. Uno storico dell’arte esperto solo di pittura barocca e noto per la sua faziosità su La7 ha sdegnosamente annunciato che non l’avrebbe visitata salvo attaccarla come «mostra di regime». «Gli obiettivi principali – dice con entusiasmo il curatore – sono quelli di coinvolgere, emozionare, parlare a un pubblico ampio, con un’attenzione speciale ai giovani che quasi sempre a scuola non studiano il Futurismo artistico ma tutt’al più quello letterario con rapidi cenni sommari. Questa non è una mostra polverosa, accademica, che i futuristi stessi non avrebbero sopportato, ma un’esperienza che può coinvolgere chiunque, vivace, inclusiva, perfino divertente. È una mostra di stati d’animo, perché è una sorta di cavalcata tra paesaggi emotivi e intellettuali diversi. È una mostra che non ha paura di essere didattica e chiara». Non a caso, mettendo in scena la sera dell’inaugurazione un elettrizzante dibattito con Marcello Veneziani dedicato a quel genio assoluto di Filippo Tommaso Marinetti e organizzato da Federico Palmaroli, un grande storico come Giordano Bruno Guerri ha definito la mostra di grande impatto come una locomotiva che ti viene addosso. Solo nella giornata di sabato si sono avuti quasi 1800 visitatori e ieri oltre duemila. Nel fine settimana la mostra può arrivare a tremila visitatori al giorno e nei giorni feriali non sono ancora iniziate le visite per le scuole, di cui sono giunte massicce prenotazioni. Giorno dopo giorno stanno crescendo i numeri dei visitatori stranieri. Eppure, non sono ancora finiti gli ululati sguaiati di tutti quelli che finora si sono adoperati con grande impegno a denigrare e sminuire la mostra, incapaci di rassegnarsi di fronte all’evidenza di un successo senza precedenti che sta rendendo finalmente popolare, nel senso migliore del termine, il nostro più rivoluzionario movimento d’avanguardia artistica, quello che tutto il mondo ammira e che è patrimonio di tutti gli italiani. Tutto questo ribadisce una cosa semplice ma dimenticata dai radical chic: il pubblico ha sempre ragione.

 

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