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Futurismo, giù le mani. L'arte non è della sinistra

Andrea Regina
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Il 2 dicembre si celebreranno con una grande mostra sul Futurismo gli ottant’anni dalla scomparsa di Filippo Tommaso Marinetti (2 dicembre 1944), il geniale inventore del più importante e duraturo movimento d’avanguardia italiano. E perla prima volta il nostro principale museo d’arte italiana dell’ottocento e del novecento, ossia la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, dedicherà una rassegna fondamentale al Futurismo, una cosa che probabilmente si sarebbe dovuta fare molto prima. Questi due motivi dovrebbero già di per sé portare un qualche plauso all’evento espositivo, di cui verrà valutata la caratura quando la mostra sarà aperta. E invece no, apriti cielo, giornaloni, giornalini e magazine online legati in vari modi alla sinistra stanno tempestando di critiche preventive e pregiudiziali la mostra prima ancora che sia inaugurata, ricorrendo a fake news, offese gratuite e manipolazioni di ogni genere. Ai radical chic sembra inaccettabile che la rassegna sia promossa dal Ministero della Cultura di un governo di centro-destra che ambirebbe solo, secondo queste fantasiose ricostruzioni, a fare del Futurismo un proprio vessillo artistico e culturale legato alla memoria fascista. Addirittura uno scrittore come Fulvio Abbate pochi giorni fa è arrivato a scrivere su mowmag.com che “quando i politici in blazer «Davide Cenci», attualmente al governo, esaltano l’imminente taglio del nastro tricolore di una «grande e necessaria» mostra dedicata al Futurismo e ai suoi protagonisti, sembrano affermare esplicitamente che «il fascismo è bello». Così viene applicata ancora la vecchia e superatissima equazione «futurismo=fascismo», senza alcuna precisazione né distinzione.

 

Ma Abbate sciorina poi altre perle di raffinata saggezza per usare la mostra contro il Governo Meloni: «Giorgia Meloni e i suoi, forse, se potessero, dedicherebbero con altrettanto entusiasmo una trionfale retrospettiva a Leni Riefenstahl. La mostra dedicata al Futurismo vive dunque sotto la signoria del più erotico revanscismo, la filologia c’entra poco». Ebbene, il curatore della mostra Gabriele Simongini ribadisce che questo grande evento espositivo non ha alcuna ragione né motivazione politica o ideologica. Il lunghissimo sproloquio di Abbate è un miracolo di affermazioni deliranti che è meglio risparmiare ai lettori ma almeno un’altra sarà utile per sbellicarsi dalle risate e capire a quale punto può arrivare la faziosità: «Il misterioso, o magari misterico, lungo graffio verticale inciso sulla fronte dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano presumibilmente da mano femminile, perla sua immediata emblematicità, dovrebbe figurare nelle locandine dell’esposizione surclassando l’iconico “Pugno di Boccioni”, da sempre ritenuto la firma certificata del movimento che ci apprestiamo a ritrovare». Solo per citarne un altro fra i tanti usciti, senza gli «orrori» precedenti ma pieno di errori è l’articolo di Mirella Serri apparso recentemente su «Repubblica», in cui si dice, per svalutarla, che la mostra non avrà opere dal Moma di New York: ce ne saranno invece due fondamentali, e due verranno dal Metropolitan di New York ed una dal Philadelphia Museum of Art, ecc.

 

Ma il bello arriva quando la Serri sostiene che non c’è stata nessuna damnatio memoriae del Futurismo nel secondo immediato dopoguerra! Una storica che afferma una simile castroneria è davvero rimarchevole. Il povero Balla viveva nel terrore che fossero scoperti a casa sua i capolavori futuristi che teneva nascosti col timore di essere perseguitato per la solita storia del fascismo. E tanti straordinari capolavori futuristi, come «La città sale” di Boccioni, furono considerati per quegli stessi motivi politici opere indesiderate che ricordavano un passato scomodo tanto che il grande Giulio Carlo Argan, a suo tempo fascista ma poi diventato comunista, disse che potevano essere vendute all’estero come infatti avvenne, con un danno incalcolabile per la nostra cultura. La Serri non lo sa, mai primi che iniziarono a riscoprire il Futurismo, nel più completo isolamento, furono dal 1947 due coraggiosi artisti ventenni, di sinistra, Piero Dorazio e Achille Perilli, protagonisti del gruppo «Forma 1». Poi vennero insigni studiosi, sempre di sinistra. Capirono la grandezza del Futurismo, aldilà dei pregiudizi ideologici, quegli stessi pregiudizi che la sinistra di oggi non riesce proprio a superare. Ecco, la mostra alla GNAM sarà pluralista e soprattutto «popolare» nel senso più alto del termine, quello che i radical chic detestano con tutto il cuore.

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