fotografo e scrittore
"Vi racconto come sono i veri volti di Scampia", il progetto di Davide Cerullo
«l vento della poesia, della cultura e dell’empatia potrebbe trasformare le Vele di Scampia in un luogo diverso». Questo è uno dei messaggi più forti del libro «Volti di Scampia» (AnimaMundi edizioni) di Davide Cerullo che raccoglie suoi testi e fotografie oltre ai testi di Christian Bobin, Erri De Luca, Ernest Pignon- Ernest e Patrick Zackmann. Cerullo è un carismatico cinquantenne con una storia esemplare dietro alle spalle, che nella sua realtà folgorante supera quelle raccontate della serie televisiva «Mare fuori». A 14 anni gestiva una importante piazza di spaccio a Scampia (popolare sobborgo di Napoli), era un camorrista, ha trascorso l'adolescenza con le armi tra le mani, è stato gambizzato e recluso a Poggioreale. Proprio in carcere, leggendo per un caso fortuito un paio di pagine della Bibbia aveva trovato, ripetuto più volte, il suo nome: Davide. Gli sembrò uno strano segno del destino, un richiamo ancora oscuro verso qualcosa di diverso. Ha iniziato a leggere altri libri, soprattutto di poesia e ha capito che la sua vita doveva cambiare. Ha cominciato a dedicarsi alla scrittura e alla fotografia ma soprattutto ha deciso di aiutare i bambini di Scampia a uscire dal buio attraverso l'Albero delle Storie, ”un laboratorio di vita alternativa – racconta Cerullo - dove stiamo sostenendo il cambiamento. Un fazzoletto di terra nel quale i bambini possono trovare rifugio e «nutrirsi» di bellezza”.
Cominciamo da Scampia, dove il 22 luglio è avvenuto il tragico crollo di un ballatoio che ha causato tre vittime e molti feriti. Che cosa significa, oggi, vivere lì?
«Scampia rappresenta sotto molti aspetti il concentrato dei mali di tutta Napoli. Un autentico fallimento politico, aggravato dall’omertà e dalla complicità delle istituzioni, attraverso la normalizzazione dell’illegalità. Non c’è stata mai la volontà di fare qualcosa per Scampia, dove alcune cose sono un po’ migliorate, forse, mentre sarebbe necessario un cambiamento radicale soprattutto per la scuola e per le vere vittime, i bambini. Qui è tutto grigio, i bambini non hanno spazi per sviluppare la loro immaginazione. E così ho deciso di piantare alberi e di creare uno spazio verde per loro».
Che cosa ha trovato nei volti dei bambini che ha fotografato?
«Nei loro occhi ho trovato un richiamo fortissimo alla mia responsabilità individuale, in qualche modo voglio dargli giustizia. In loro vedo la sacralità e il senso della vita ma anche l’assenza assoluta di felicità. Qui non c’è empatia, non c’è meraviglia, c’è l’amputazione dell’infanzia».
La criminalità organizzata è sempre radicata a Scampia?
«Certo, essa prospera dove c’è il degrado, la mancanza di bellezza e di cultura. Magari oggi è meno appariscente e rumorosa, ma più subdola e forse ancora più crudele, coinvolgendo i giovanissimi».
Al di là della retorica, che cosa si potrebbe fare davvero?
«Questa sorta di straordinario Don Chisciotte che è Vittorio Passeggio sta lottando da 40 anni qui a Scampia per il diritto alla casa. E sostiene che le Vele devono essere rase al suolo, definendole “carceri speciali”. Io penso che solo portando qui la parola, la poesia, la musica, la bellezza, potremo fare qualcosa di buono. Bisognerebbe creare un grande centro dove si fa cinema, teatro, musica rap, dove i ragazzi possano esprimere la loro rabbia e la loro voglia di vivere. Ci vuole l’amore per la vita. Con le mie foto in qualche modo cerco di stare vicino il più possibile a queste vittime innocenti delle nostre responsabilità».
A che cosa sta lavorando adesso?
«Ho appena finito un libro dedicato al grande poeta Christian Bobin, che in pratica ha cambiato la mia vita, ripercorrendo le sue tracce in Francia. Ora sono alla ricerca di un editore. La poesia ha la forza di cambiare vite perdute. Io ne sono la testimonianza. Tanti giovani oggi sono disorientati perché c’è un assoluto analfabetismo dei sentimenti, non c’è calore, non c’è emozione empatica, perfino a scuola».