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Capalbio Film Festival, Mario Martone: "Sempre attinto a libri belli e obliqui"

Il regista ha parlato del rapporto tra film e letteratura

Giulia Bianconi
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Mario Martone ha spesso attinto alla letteratura nel suo cinema. Lo ha fatto dieci anni fa raccontando un inconsueto Giacomo Leopardi ne «Il giovane favoloso» con Elio Germano. Ancora prima, nel 2004, con «L’odore del sangue», partendo da un romanzo di Goffredo Parise. Due anni fa ha portato in concorso al Festival di Cannes «Nostalgia» tratto dall'omonimo libro di Ermanno Rea. Nel suo prossimo film «Fuori« racconterà, invece, la storia di una scrittrice, Goliarda Sapienza, che avrà il volto di Valeria Golino.
Nella seconda giornata del Capalbio Film Festival, il regista e sceneggiatore napoletano, 64 anni, è stato protagonista di un incontro con il pubblico, moderato dal direttore artistico Steve Della Casa, in cui ha parlato proprio del binomio tra settima arte e letteratura.

 

 

 

«Ho sempre avuto un forte legame con i libri, soprattutto con le scrittrici - ha raccontato Martone al Nuovo Cinema Tirreno di Borgo Carige - Ho scritto «Morte di un matematico napoletano» (suo esodio alla regia del 1992, Gran premio della giuria alla Mostra del cinema di Venezia, ndr) con Fabrizia Ramondino. Fu lei a darmi il libro di Elena Ferrante «L’amore molesto», dicendomi: «Leggilo, ti piacerà». Aveva ragione. Si è accesa un’immediata voglia di farne un film», che nel 1995 fu presentato in concorso al Festival di Cannes. Martone ha detto di aver scelto, nella sua carriera, sempre «materiali letterari particolari. «L’odore del sangue», ad esempio, è stato un libro maledetto di Parise, pubblicato solo anni dopo. Sono attratto dalle cose belle e oblique. Alcuni amici produttori mi hanno proposto dei romanzi più semplici, ma se non scatta una molla misteriosa allora preferisco non farli. Non mi piacciono neppure i libri già scritti per essere dei film». E poi parlando di «Nostalgia», ha spiegato: «Era un romanzo quasi impossibile da trasporre al cinema. Un testo pieno di riflessioni saggistiche. È stato un gran lavoro (fatto con la sua sodale sceneggiatrice, e compagna di vita, Ippolita Di Majo, ndr)».

 

 

 

Nella sua carriera cinematografica Martone ha raccontato anche la storia del nostro Paese. «Noi credevamo» del 2010, ambientato durante il Risorgimento, e anche questo tratto dal romanzo di Anna Banti, ripercorre la vita di tre giovani che si uniscono alla Giovine Italia animati da ideali patriottici e repubblicani. «In questo lavoro bisognava essere inattaccabili dal punto di vista storiografico - ha detto il regista, che aveva scritto la sceneggiatura con Giancarlo De Cataldo - La ricostruzione è importante, anche se io rifuggo dal presepe. Quando faccio film storici, mi interessa far rivivere il passato, rievocare dei fantasmi». Uno degli ultimi documentari realizzati dal regista è «Laggiù qualcuno mi ama», su Massimo Troisi, scritto con Anna Pavignano, e presentato alla Berlinale lo scorso anno. «Io e Massimo ci conoscevamo. Avremmo voluto fare un film insieme, ma il destino non lo ha permesso. Ho avuto però la possibilità di raccontarlo sul grande schermo, come Troisi regista, e non solo attore. Quando Anna lo ha visto, mi ha detto: "Questo è un nuovo film di Massimo". Il più bel complimento che potesse farmi».

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