Nino D'Angelo pronto a stupire il Maradona: "Miles Davis il primo a credere in me"
“I miei meravigliosi anni 80” … e non solo!”
“Ero molto scettico su questo progetto: non pensavo che a 67 anni, Napoli si sarebbe mobilitata per me. C’è chi ha avuto ragione, e sono stato contento. Per me è una sorpresa esagerata. Sono cinquantadue anni di carriera: sono andato sei volte a Sanremo, e sono stato un cantante napoletano da sempre, e vorrò esserlo per tutta la vita. Essere un cantante napoletano è un privilegio. Italiani possiamo esserlo tutti, ma cantanti napoletani possiamo esserlo soltanto noi”. Ha voglia di raccontarsi e di raccontare Nino D’Angelo a poche da quello che sarà il suo concerto “I miei meravigliosi anni 80” … e non solo!”, allo Stadio Maradona di Napoli, domani sera, per celebrare il ragazzo della curva B. Un’occasione per rivivere i momenti più significativi dei suoi 40 anni di carriera. “Questo spettacolo – ha aggiunto Nino - sarà un omaggio a me stesso e a Napoli, un momento importante della mia carriera ma anche una forma di ringraziamento alla mia città per avermi regalato un posto nella storia della musica”.
D’Angelo, oggi, la musica napoletana è vincente
“Io ho preso tante cattiverie, così come i giovani di oggi: la Napoli dove sono nato io, negli anni 70, l’Italia era ancora più razzista. Mi chiamavano terrone ovunque andassi. Durante tutti questi anni, mi sono sentito sempre sotto esame. Sono contento di aver pagato per tutti, però sono contento che oggi mi venga riconosciuta la professionalità. All’epoca, venivo giudicato soltanto per il caschetto, ma nessuno ci ha mai guardato dentro”.
Chi è stato, il primo, a credere in lei?
“Miles Davis, la prima persona che mi ha sdoganato. Io credevo fosse un calciatore, quando me lo dissero, perché io non sapevo chi fosse. Miles Davis disse che gli piacevano le mie canzoni, e dopo qualche mese, è venuto nel mio studio Billie Preston, il quinto Beatles: mi disse che a casa di Miles Davis si facevano le feste napoletane con le mie canzoni“.
Gli cantò la sua versione di “Let It Be”?
“No, non l’ho mai incisa. La facevo in oratorio. Non sapendo l’inglese, la trasformai in “Gesù Cri”.
Mario Merola l’ha definita il suo erede.
“Io nasco con la sceneggiata: Mario Merola, un giorno, disse che io sarei stato il suo erede. Per me era immenso, e, da quel momento, iniziai a fare il pop napoletano. Io volevo arrivare alle generazioni più moderne, a chi non conosceva la canzone napoletana. Iniziai quindi a scrivere un genere diverso dalla sceneggiata. Andavo a fare i matrimoni col mio gruppo, ed una sera, ad un matrimonio, c’era tutta Torre del Greco che cantava le mie canzoni“.
Lei ha affermato che: “Nell’ignoranza c’è la cultura dei valori sani e che la sua famiglia le ha insegnato tutte le cose buone
“Sono figlio dell’ignoranza, che, qualche volta, può anche essere una cosa positiva: c’è la cultura nel sentimento, dove non c’è tanta cultura. La mia famiglia non ha mai letto un libro, ma ho imparato da loro tutte le cose buone. Oggi, Napoli è straordinaria: è bellissimo vedere un ragazzo come Geolier andare a Sanremo, riempire lo stadio per tre giorni. E’ come se fosse mio nipote, e sono molto felice per lui. Napoli deve approfittare di questa esplosione culturale e musicale. Io non so scrivere il rap, sono un poeta dolce loro sono poeti incazzati, ma hanno riportato Napoli al centro delle musica italiana per questo li stimo e li ammiro. Però, va’ ripristinato il Festival di Napoli: il festival del talento, di quelli che vogliono la gente, e non di quelli che vogliono i discografici”.