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Ora so di cosa posso fare a meno, Sorrentino si confessa dopo il Leone

Giulia Bianconi
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Paolo Sorrentino ha appena un quarto d’ora di tempo per rilassarsi, in una camera al secondo piano dell’Excelsior che affaccia sul mare, prima della cena di chiusura del festival. Si siede vicino a un tavolo dove poggia il Leone d’Argento. In una mano ha l’immancabile sigaro. Il regista premio Oscar, 51 anni, è ancora visibilmente emozionato per il Gran Premio della Giuria al suo personale e doloroso «È stata la mano di Dio», film (prodotto da The Apartment) nel quale si è aperto al pubblico raccontando la morte dei genitori quando era solo un ragazzo. Neppure sette anni fa a Los Angeles, vincendo la statuetta per «La grande bellezza», si era abbandonato così alle lacrime come è accaduto alla 78esima Mostra del cinema di Venezia. Ora questo nuovo riconoscimento potrebbe portarlo nuovamente oltreoceano, anche se per lui è troppo presto per parlarne. 
Sorrentino, si aspettava un Leone?
«Non mi aspettavo nulla. La cosa più imprevedibile e stravagante sono proprio i premi, quando a deciderli sono giurati diversi tra loro. Le cose divergono sempre. Lo so perché ho fatto parte anch’io di giurie».
Quando ha vinto l’Oscar non ha pianto. Stavolta sì…
«In quell’occasione ero preoccupato e ansioso. Agli Oscar si arriva dopo mesi di viaggi tra Italia e America e campagne promozionali. Il Leone è stato un premio più improvviso e inaspettato. Stavolta ero proprio emozionato».
Sul palco ha ringraziato prima di tutto i suoi genitori e Maradona.
«Questo film nasce da questi due pilastri, non poteva essere altrimenti. La presenza di Maradona nel film però è più evocata che reale». 
Poi ha parlato di Toni Servillo, suo padre nel film, scherzando sul fatto che in molti le chiedono perché lavora sempre con lui.
«Questa collaborazione ci ha portati entrambi a ottenere risultati che non ci aspettavamo. L’ho visto anche nel bellissimo “Qui rido io” di Mario Martone (sempre in concorso a Venezia, ndr) e lui è bravissimo». 
Tornerà anche a lavorare con Filippo Scotti, che grazie al film ha vinto il Premio Mastroianni?
«Ci proverò, ma dopo questo e altri premi probabilmente mi dirà che ha di meglio da fare».
Durante la cerimonia si è commosso ringraziando il suo amico produttore Nicola Giuliano, anche se le vostre strade si sono divise.
«Nicola mi ha accolto da ragazzo. Abbiamo fatto tanti film insieme. A un certo punto ho sentito il desiderio di cambiare i miei collaboratori, non solo lui. Questo lavoro ha dei rischi di routine. Ma non è detto che non si possa tornare indietro». 
Secondo lei perché «È stata la mano di Dio» è stato accolto anche dagli internazionali con grande calore?
«Credo sia arrivata la sua sincerità al pubblico. È una vicenda universale e umana basata sulla famiglia, sull’allegria, sulla vitalità, sul lutto e sul dolore». 
Cosa le ha dato questo film? 
«Sono riuscito a condividere quella mia esperienza, che prima era solo un mio monologo interiore. Non penso sia stato liberatorio, né terapeutico, ma comincio a parlare così tanto con voi dei miei dolori che inizio anche ad annoiarmi. Pian piano sto sprofondando in una discreta felicità». 
Ha detto che il film segna una rinascita per lei.
«È un punto di svolta perché ho scoperto una certa semplicità, che alcuni chiamano maturità. Sarà la presenilità (ride, ndr). Io preferisco pensare di rimanere immaturo. Ma andando avanti ho scoperto che ci sono cose non necessarie. Funziona nella vita come nel cinema. L’unico momento in cui sono veramente a mio agio nel mondo è quell'intervallo di tempo tra quando dico azione a quando dico stop. Il cinema mi ha dato la possibilità di sentirmi dove devo stare».
Dopo questo premio cosa farà?
«Torno a Roma e mi riposo un po’. Sono stati giorni faticosi. Dopo Venezia, siamo stati in Colorado per il Telluride Film Festival. Siamo rientrati in Italia mercoledì scorso e venerdì siamo tornati al Lido. Mi devo riprendere ancora dal jet lag». 
Il Leone è un primo passo verso gli Oscar?
«Direi che è prematuro parlarne. Da domani ci sediamo con i collaboratori e la squadra e vedremo che futuro avrà il film».
Guardando a un futuro più imminente, «È stata la mano di Dio» uscirà al cinema il 24 novembre e su Netflix il 15 dicembre. Gli esercenti, che tanto si battono contro le piattaforme, non saranno così felici di questa decisione.
«Non vorrei entrare in questa polemica. Io posso parlare di quello succede dalla scrittura al missaggio di un film. Mi pare comunque che tre settimane in sala, in questo momento storico, sia un lasso di tempo ragguardevole. Come tutti i registi, ho piacere che i film si vedano sul grande schermo». (Giulia Bianconi)

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