addio mandrake
L'arte, il cinema, la pandemia. Così parlò Gigi Proietti: "Rimpianti? Rifarei tutto"
Non è riuscito a compiere oggi i suoi 80 anni Gigi Proietti, nato il 2 novembre del 1940 e sempre scherzoso sull'idea che fosse il giorno dei morti. E' scomparso questa mattina alle 5.30 in una clinica romana, dove era ricoverato da 15 giorni e nelle ultime ore in terapia intensiva per problemi cardiaci. Aveva già avuto una grave tachicardia nel 2010, ma poi era tornato in splendida forma e tutti si auguravano che pure adesso avrebbe vinto il male con la sua beffarda ironia nei riguardi del destino. La sua immagine è nella mente e nel cuore di tutti gli Italiani da sempre, passando di generazione in generazione. Per alcuni è soprattutto il Maresciallo Rocca della fiction televisiva, per altri il creatore del romanissmo slogan della pubblicità di un noto caffè, “A me me piace”, se i più appassionati di teatro ricordano i suoi esilaranti sketch petroliniani, il grande pubblico converge sul Mandrake di “Febbre da cavallo”, che proprio ieri sera era di nuovo in televisione, lasciando ai più maturi il plauso consapevole per la rivoluzione scenica segnata dall’epocale “A me gli occhi, please”.
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Nelle ultime repliche completamente esaurite del suo “Cavalli di battaglia”, con cui ha permesso ai romani di festeggiare il Capodanno in maniera inconsueta e in sua compagnia dal 2017 al 2019, ha raccolto i must della sua biografia artistica che il pubblico bramava di vedere e rivedere: dalla parodia de «La dama delle Camelie» alla poesia “Questo amore” di Roberto Lerici, omaggio a Prévert, dalle citazioni shakespeariane alle incursioni borgatare di Toto, da “Nerone” di Petrolini a “Nu’ me rompe er ca”, sulla falsariga di “Ne me quitte pas” di Edith Piaf.
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«Il mio lavoro negli anni può essere suddiviso in settori: dapprima la sperimentazione e l’avanguardia con "Il dio Kurt" di Moravia, diretto da Calenda, che fu il mio lancio nell’ambiente più intellettuale, poi la popolarità con "Alleluja brava gente" di Garinei & Giovannini, che ricordo sempre con gratitudine, e lo spartiacque costituito da "A me gli occhi, please", in cui mescolai tutto insieme e mi accorsi che riuscivo ad arrivare alla gente – era solito raccontare nelle interviste - Non posso né mi voglio lamentare di tutte le esperienze professionali che ho vissuto. Rifarei praticamente tutto. Rivedendo la mia vita da lontano, sono sicuro che in ogni momento era giusto quello che è accaduto. Vorrei soltanto aver avuto più tempo per dedicarmi ad altro. Sono stato troppo assorbito dagli impegni perché sono maniacale e su ogni spettacolo che realizzo mi fermo a lungo e con un eccesso di precisione e pignoleria. Più che il cinema, posso dire di aver girato alcuni film che sono rimasti impressi e devo molto anche alla televisione: primo fra tutti citerei "Il Maresciallo Rocca" che è stato un evento di cui ancora si parla. Vorrei continuare a lavorare, ma senza esagerare come ho sempre fatto in quanto gli anni passano e non ho più quella resistenza fisica. Spero che la gente possa avere la serenità per andare anche a vedere del buon teatro e invito i romani a darsi da fare per il bene della città, magari stimolando anche le istituzioni! Ormai i cittadini della Capitale non sono pochi: viviamo in una metropoli ed è quanto mai necessario che ci si conosca e ci si riconosca per imparare a creare una comunità e a condividere una dimensione collettiva”.
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Talento poliedrico ed eccellente in tutti i campi dello spettacolo, in grado di muoversi con disinvoltura dal palcoscenico al cinema, dalla radio alla televisione, dalla canzone alla pubblicità, era dotato di una memoria prodigiosa e di una capacità ineguagliata nel catalizzare l’attenzione di un pubblico quanto mai variegato per formazione e appartenenza culturale e sociale. In questi ultimi anni aveva scelto di dedicarsi anima e corpo all’avventura del Silvano Toti Globe Theatre, la struttura elisabettiana collocata nel cuore di Villa Borghese e donata alla Capitale dalla Fondazione Toti, che ha voluto incentrare appositamente sul repertorio shakespeariano, riuscendo a garantirsi un notevole successo di pubblico persino in questa difficile estate, nonostante le restrizioni previste dall’emergenza del Covid-19. Ha voluto considerare il suo fiore all’occhiello la direzione artistica di questo spazio cittadino dalla speciale identità culturale, auspicando un’attenzione più solerte delle istituzioni nei riguardi del teatro, sua immensa passione dall’età di vent’anni: “Il Globe è dei cittadini, creato per loro e per chi ci lavora. Ormai non è più considerato uno spazio solo romano. Non che mi dispiaccia che sia romano: sono romano pure io! E’ stato difficile far capire ai romani che esistesse, ma, col lavoro prezioso del nostro ufficio stampa Cinzia D’Angelo, ci siamo riusciti ed è diventato quello che desidero sia il teatro: non un luogo autoreferenziale, bensì un punto d’incontro per la gente. Ritengo il teatro, infatti, una realtà civile e artistica necessaria, altrimenti non lo farei da 54 anni”.
Dall’esordio con Giancarlo Cobelli, conosciuto negli anni dell’università, Proietti era approdato poi al cabaret, intrecciando esperienze di rilievo e impegno intellettuale come il moraviano “Il dio Kurt”, di cui si manifestava sempre molto fiero, e “La cena delle beffe” di Sam Benelli, diretto da Carmelo Bene. Dal 1974 al 1976 aveva rinnovato la comunicazione teatrale con il suo one man show “A me gli occhi, please”, con un record clamoroso di oltre 500 mila spettatori al Teatro Olimpico di Roma, e in quel periodo aveva anche aperto il suo Laboratorio di Arti Sceniche, formando i comici più apprezzati attualmente come Enrico Brignano, Gianfranco Jannuzzo, Rodolfo Laganà, Flavio Insinna, Francesca Reggiani, Massimo Wertmüller, Chiara Noschese, Paola Tiziana Cruciani, Gabriele Cirilli, Giorgio Tirabassi.
Nonostante alcune pellicole firmate da Lumet, Altman, Damiani, Monicelli, Lattuada e Kotcheff, il Mandrake di “Febbre da cavallo” e il sodalizio coi fratelli Vanzina, il cinema non ha saputo utilizzare tutte le sue straordinarie potenzialità, ma in compenso rimane un protagonista ineguagliato di serie televisive da “Il Maresciallo Rocca”, iniziato nel 1996, a “Preferisco il Paradiso”, in cui ha incarnato San Filippo Neri, fino al più recente “Una pallottola sul cuore”.
Come accaduto tempo fa al tormentone impresso nella memoria di tutti, “Invidiosi!”, ogni sua battuta diventava immediatamente un cult per l’innata e contagiosa simpatia che lo rende popolare e vicino alla gente. Si era pure distinto come uno fra i pochissimi artisti in grado di utilizzare il piccolo schermo per diffondere le sue magistrali performance teatrali con professionalità interpretativa prestata pure alla conduzione: ha, infatti, registrato un’audience molto competitiva in tutte le sue apparizioni.
Interessante e originale, come sempre, aveva espresso a luglio una sua precisa opinione anche sull’attualità: “Sento che si parla in giro di utilizzare questo periodo come una fase di cambiamento. Se davvero fossimo diversi, nessuno si sarebbe approfittato della vendita delle mascherine. Mi auguro che tutti si comportino bene e che paghino le tasse, ma non sono certo di simili mutamenti antropologici. Non serviva un virus se c’era l’interesse autentico di migliorarsi. Chi lo impediva? Siamo, invece, responsabili del fatto che la pandemia non ci abbia trovato in salute sul piano politico ed economico. Forse dovevamo strillare di più. “La libertà è partecipazione” diceva Gaber. Si dovrebbe proprio forzare la mano per una maggiore equità”.
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Non ha realizzato il suo ultimo desiderio, ovvero un ruolo shakespeariano che potesse eguagliare il successo del suo Kean: “Da attore il mio preferito ce l’ho “nel gozzo”, come si dice a Roma, ed è “Riccardo III”. Considero poi eccessivamente con rispetto “Amleto”. Dire che sia un capolavoro è un’ovvietà: si tratta del testo teatrale, o addirittura letterario, più importante del millennio per la cultura occidentale”.
Per vederlo in una nuova prova delle sue, non ci resta che attendere il suo film “Io sono Babbo Natale”, con Marco Giallini e regia di Edoardo Falcone, in uscita per Natale. Roma lo saluta con un suo tipico commiato: “Ciao, core!”.