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Gigi Proietti, ritratto di un gigante. Quando diceva: gli attori hanno il privilegio di giocare fino alla morte

Giulia Bianconi
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Sa essere veramente beffarda la vita. Gigi Proietti è morto oggi, alle 5.30, nel giorno del suo ottantesimo compleanno. Il 2 novembre, sul quale ironizzava: “La data è quella che è. Che dobbiamo fa’?”. L’immenso mattatore italiano è uscito di scena come solo i grandi artisti sanno fare, in silenzio. Era ricoverato da diversi giorni in una nota clinica romana per problemi cardiaci. La famiglia aveva tenuto il massimo riserbo. Ieri sera la sua situazione si è aggravata. Si trovava in terapia intensiva. Vicino a lui la compagna di vita, Sagitta Alter, e le due figlie Susanna e Carlotta. 

Già dieci anni fa Proietti aveva sofferto di cuore. Nel 2010 era stato ricoverato all'ospedale San Pietro di Roma, dopo aver accusato una forte tachicardia. Già allora si era tentato di non far trapelare la notizia. Ma in quell’occasione nel giro di pochi giorni Proietti si era ripreso ed era tornato a casa, e a recitare. Stavolta, però, non ce l’ha fatta a tornare sul palcoscenico, che è stata la sua linfa vitale per oltre mezzo secolo di carriera. 

 

Che dire di Gigi Proietti? Non era solo un’icona per la sua città, Roma, lo era per tutto il Paese che oggi piange la sua scomparsa. Un personaggio popolarissimo, amato da tutti. Camaleontico, poliedrico, (auto)ironico, un talento irripetibile. Proietti ha vissuto per il teatro e da anni dedicava anima e corpo al Silvano Toti Globe Theatre, la struttura elisabettiana nel cuore di Villa Borghese, alla quale era riuscito a garantire un notevole successo anche la scorsa estate nel pieno della pandemia. 

Dall’esordio con Giancarlo Cobelli, conosciuto negli anni dell’università, Proietti passò al cabaret, intrecciando esperienze di rilievo e impegno intellettuale come il moraviano “Il dio Kurt”, di cui va sempre molto fiero, e “La cena delle beffe” di Sam Benelli, diretto da Carmelo Bene. Dal 1974 al 1976 rivoluzionò la comunicazione teatrale con il suo show “A me gli occhi, please”, con un record di oltre 500mila spettatori al Teatro Olimpico di Roma, e in quello stesso periodo aprì il suo Laboratorio di Arti Sceniche, formando comici come Enrico Brignano, Gianfranco Jannuzzo, Rodolfo Laganà, Flavio Insinna, Francesca Reggiani, Chiara Noschese, Gabriele Cirilli, Giorgio Tirabassi. 

 

Nella carriera di Proietti ci sono stati anche il cinema e la televisione. Era di prossima uscita sul grande schermo “Io sono Babbo Natale”, diretto da Edoardo Falcone, nel quale l’attore avrebbe dato il volto al vecchio omone con la barba più amato dai bambini. Sul grande schermo rimangono memorabili le sue mandrakate di “Febbre da cavallo”. Matteo Garrone nel suo “Pinocchio” gli aveva affidato il ruolo di Mangiafoco. E’ stato diretto anche da Lumet, Altman, Damiani, Monicelli e Lattuada. Sul piccolo schermo ha indossato, invece, i panni de “Il Maresciallo Rocca”, entrando nelle case degli italiani per cinque stagioni dal 1996.

 

Dal tormentone «Invidiosi!» allo slogan di una nota marca di caffè «A me me piace», ogni sua battuta è diventata un cult per la sua contagiosa simpatia che lo ha reso così vicino alla gente. In questo triste giorno non può non tornare alla mente una sua celebre frase: “Ringraziamo Iddio, noi attori, che abbiamo il privilegio di poter continuare i nostri giochi d’infanzia fino alla morte, che nel teatro si replica tutte le sere”. Addio Gigi.

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