il duetto

Tiziano Ferro e Jovanotti insieme con "Balla per me"

Insieme. Per coronare un sogno. Arriva in radio venerdì 5 giugno "Balla per Me", il quinto singolo estratto dall’album "Accetto Miracoli" di Tiziano Ferro (già certificato Platino e uscito il 22 novembre scorso in tutto il mondo su etichetta Virgin Records) ma anche il primo brano in cui il cantautore di Latina collabora con Jovanotti - uno dei suoi idoli dichiarati - per un duetto in cui le voci così diverse dei due si fondono alla perfezione dando vita a una ballata dance uptempo piena di energia.

  

 

«Balla Per Me è un mondo a parte - racconta Tiziano - Era il 1987 quando comprai il mio primo disco italiano ed era di Jovanotti. Non sapevo nemmeno che si chiamasse Lorenzo ma il mio sogno era quello di cantare con lui. Ora è successo e il risultato è una delle canzoni più di cuore dell’album. Credo sia percepibile tutto il desiderio e l’entusiasmo di quel ragazzino di 7 anni, che sogna di cantare con il suo idolo e, sebbene non abbiamo mai avuto prima l’occasione di incrociare le nostre voci, in questo pezzo sembra che cantiamo insieme da sempre. Ho scritto il brano e l’ho fatto produrre a Timbaland, in maniera minimale ma molto energica, e poi lo abbiamo cantato d’istinto. È una canzone piena di vita, alla quale tengo moltissimo, e non smetterò mai di ringraziare Lorenzo per questo enorme regalo».

Lorenzo ricambia l’entusiasmo e usa parole di grande stima per il collega: «Fin dal primo momento che Tiziano mi ha fatto ascoltare Balla per me, mi si è stampato in testa il ritornello. É un pezzo che ha qualcosa di immediato e zero pippe, parla di vita vera su un battito che pulsa, ma presenta una complessità armonica e compositiva piuttosto inusuale oggi. Lo ha scritto Tiziano e l’ha prodotto Timbaland, io sono arrivato per ultimo alla festa invitato dal padrone di casa ma mi sono divertito alla grande a infilarmici dentro. Per me è un onore essere in questa canzone con lui dopo tanti anni che ogni volta che ci siamo visti si finiva sempre per parlare di fare musica insieme. Lui è uno dei più grandi artisti che abbiamo, è quello che nell’ambiente si definisce un ’killer’, uno di cui poi hanno buttato via lo stampo. In pochi anni ha piazzato un gran numero di pezzi memorabili ma non solo, ha pure ridefinito l’idea di musica popolare italiana portando in scena elementi classici misti a qualcosa di nuovissimo, di mai sentito prima dalle nostre parti», sottolinea Jovanotti che questa settimana è protagonista anche della copertina di ’Vanity Fair’, che ha realizzato lui stesso, con un disegno che parla di libertà: da quella che ci è stata negata durante il lockdown e a causa della pandemia, a quella che sogniamo di riconquistare nel prossimo futuro. 


«La libertà - spiega Jovanotti a ’Vanity’ - è il contrario della nitroglicerina, che deve stare immobile per non provocare disastri. La libertà invece va agitata. Sempre. Appena la fermi, la ingabbi e pensi di dominarla, quella ti frega e ti ritrovi con il culo per terra». A insegnargli il significato di questa parola è stata sua figlia Teresa: «Forse l’ha spiegata lei a me. Eravamo in casa, aspettavo un fax e Teresa, che allora era molto piccola e aveva iniziato a parlare da poco, si mise davanti ai fogli che uscivano dalla stampante e mi disse: ’Babbo, ascolta questo rumore, sembra che dica li/be/rtà, li/be/rtà, li/be/rtà’. Camminava come un manifestante, quasi marziale, davanti a quel piccolo miracolo della tecnologia e mentre lei armava quello spettacolo capii che mi stava insegnando qualcosa che non ricordavo più. Che per i bambini i suoni arrivano sempre prima dei significati, ma spesso quei significati hanno comunque un loro senso. Da ragazzino mi fissavo con le parole senza prendermi tanta cura di cosa volessero dire. Ce n’era una che ripetevo in maniera un pò ossessiva e quella parola era: libertà».

«Essere il terzo figlio mi ha dato una gran mano e mi ha concesso molta più libertà di quella toccata in sorte ai miei fratelli», dice quando racconta della sua famiglia. «Le aspettative e le pressioni dei miei genitori erano su mio fratello maggiore e alla fine, lo dico nella migliore accezione possibile, io sono passato un pò inosservato. Non è che mi si filassero tanto ed è stato un bene. Ero l’ospite inatteso: come se fossi arrivato a un party al quale non ero stato invitato e dove era già accaduto tutto. Una posizione invidiabile: perché partecipi alla festa, ma non sei il festeggiato e non sei al centro dell’attenzione. Sei quello che si gode tutto e non paga pegno», conclude.