RICERCA IN STALLO
Manca un topo, test in ritardo sul vaccino anti-Covid
L’immediato futuro del mondo potrebbe dipendere tutto da... un topo. Sembra uno scenario fantascientifico ma non lo è perché, in un’emergenza globale come quella che stiamo vivendo, solo un vaccino contro Covid-19 potrà dichiararla davvero finita. Ebbene, mentre mancano i dispositivi di protezione per gli operatori sanitari, i tamponi e in alcuni casi i respiratori, manca anche un anello della catena importantissimo: il topo da laboratorio. Non uno qualsiasi, però, ma un particolare topo transgenico, creato 13 anni fa e poi negli anni "passato di moda" nel mondo della ricerca. Questa tipologia di modello animale infatti è in grado di catturare Covid-19 ed essenziale per testare future cure e vaccini. Purtroppo però su questo topo lavorano, su scala globale, solo una manciata di laboratori ultra-specializzati. Nel 2007, il ricercatore dell’Università dell’Iowa Paul B. McCray creò questo topo all’indomani della crisi della Sars per sviluppare una cura, in quanto all’epoca la mancanza di un modello animale aveva ostacolato la ricerca. Un articolo, pubblicato oggi su "France culture" ripercorre l’origine della creazione di questo topo chiamato hAce2. Il team di McCray aveva cercato di introdurre l’enzima umano Ace2 nei roditori, enzima che oggi è stato individuato essere la porta d’ingresso del Sars-CoV-2 nelle cellule polmonari. L’obiettivo era quello di rendere questi topi da laboratorio suscettibili alle malattie e quindi a un possibile trattamento. Ma essendo questi topi "passati di moda", oggi diventa difficile trovarli. «Il problema è che nessuno ha più usato questi topi transgenici dall’epidemia di Sars-CoV-1 nei primi anni 2000. Di conseguenza, oggi, la colonia di topi transgenici è ristretta e non soddisfa le esigenze della comunità scientifica. Il Jackson Laboratory - azienda con sede negli Usa e in Cina, che raccoglie e alleva il maggior numero di topi da laboratorio al mondo, riuscendo produrne 11.000 ’famigliè diverse - sta ampliando questa colonia di topi transgenici, ma non saranno in grado di commercializzarla fino a maggio o all’inizio di giugno», spiega Christophe d’Enfert, direttore scientifico dell’Istituto Pasteur di Parigi. L’Ace2 umano - l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 - svolge un ruolo nel funzionamento del muscolo cardiaco e regola la pressione sanguigna. In generale, un virus si lega ai recettori situati sulla membrana citoplasmatica delle cellule. In questo caso, il recettore è l’hAce2. Per essere più precisi, «il topo ha un enzima Ace2 la cui composizione è diversa dalla nostra», spiega ancora d’Enfert, «quindi le interazioni tra la proteina "spike" del virus e il recettore Ace2 del topo non sono "produttive" e il coronavirus infetta i topi in modo insufficiente». Da qui l’importanza di modificare geneticamente il piccolo roditore per introdurre l’enzima umano che lo renderà suscettibile alle infezioni. Il problema è che nessuno ha più usato questi topi transgenici dall’epidemia di Sars-CoV-1 nei primi anni 2000, perché questo virus era, per fortuna, stato dimenticato. Di conseguenza, oggi, la colonia di topi transgenici è piccola e non soddisfa le esigenze della comunità scientifica. L’uso di topi da laboratorio è essenziale, ma il loro tempo di produzione è lungo. I topi maschi sono fertili dopo 5 settimane di vita, le femmine dopo 7 settimane e partoriscono dopo circa 20 giorni. Una delle soluzioni, secondo l’Istituto Pasteur, sarebbe quella di sviluppare i propri topi transgenici, ma non è così semplice. «Nel nostro istituto abbiamo altri topi che hanno un patrimonio genetico diverso. Stiamo valutando se, tra questi, ci siano roditori che potrebbero sviluppare naturalmente un’infezione da coronavirus», evidenzia lo scienziato francese, ammettendo tutte le difficoltà del caso.