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Papa Francesco in Campidoglio e il “Romano lo volemo, Romano lo volemo!”

La vera rinascita morale e spirituale deve partire da dentro di noi

Gianluca Dodero
Gianluca Dodero

Presidente dell'associazione Passione Romana. Comunicatore, cultore e divulgatore di Romanità. Sono anni che scrivo di Roma, su Roma, in maniera disomogenea, frammentaria e istintiva. Sin da bambino nutro nei suoi confronti una passione divorante, un amore che va oltre il parentale. Da bambino piangevo ogni qualvolta ne vedevo i monumenti, poi ho iniziato a percorrerla a piedi. Chilometri su chilometri su chilometri e sono solo all'inizio. Perchè Roma è un cammino. Non si esaurisce il legame per lei nella mera conoscenza del suo aspetto e dei suoi luoghi, nelle pieghe della sua millenaria storia. Per trovare le risposte alle domande che questa città Misteriosa ci pone, bisogna avere Fede.

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La visita del Pontefice in Aula Giulio Cesare è sempre di impatto per ogni vero romano. Non si può fare a meno di ricordare il celebre passo delle “Memorie di Adriano”, in cui l'Imperatore confida di non temere l'avvento del cristianesimo, perché l'Eterna Auctoritas romana avrebbe dettato l'avvio di un nuovo impero e non l'avrebbe subito. La continuità tra i due imperi (dei Cesari e poi dei Papi) è la dimostrazione dell'inspiegabile esistenza di una irriducibile anima cittadina. Ovviamente da buoni romani, abbiamo fatto partire un florilegio di meme su ipotetiche battute del Papa sulla chiusura della metro Ottaviano ed altre esilaranti e satiriche immagini sui social, ma resta il messaggio di fondo espresso anche ieri da Francesco: ”Formulo perciò i migliori auspici affinché tutti si sentano pienamente coinvolti per raggiungere questo obiettivo, per confermare con la chiarezza delle idee e la forza della testimonianza quotidiana le migliori tradizioni di Roma e la sua missione, e perché questo favorisca una rinascita morale e spirituale della Città". Il tema è che la rinascita morale e spirituale deve partire da dentro di noi. L'ultimo decennio di scempi amministrativi trasversali che abbiamo alle spalle, ci indica una perpetua volontà di rottura dell'elettorato romano (la destra dopo un ventennio di sinistra, poi il sindaco “marziano” avverso al partito e poi la sindaca del movimento antisistema) che si è tramutata in una semplice rottura di altre cose. Abbiamo accantonato una qualità prepolitica e che andrebbe considerata come necessaria a priori: l'amore incondizionato, l'appartenenza e la conoscenza della città. Per avviare la riscossa e risalire la china, serve in primis esprimere amor patrio, e la nostra patria va intesa come Roma. Pensando ai corsi e ricorsi storici, un episodio quanto mai attuale di “sovranismo ante litteram” nel senso positivo del termine, non come modello impositivo di chiusura ma di giusta salvaguardia degli interessi cittadini, segnò la città ben 8 secoli fa'. E mi fa piacere riportarlo qui. Anno 1377, la sede papale era stata riportata a Roma da Gregorio XI, dopo 72 anni di cattività avignonese. Il popolo romano è allo stremo, a causa della mancanza dei benefici economici della presenza della corte papale, garantiti da pellegrini, ambascerie estere e cerimonie sacre dall'elevata profusione di denaro. Un anno dopo Gregorio muore e i caporioni - figure pittoresche popolari decisive nell'urbe medievale- terrorizzati dall'idea che uno dei tredici cardinali francesi potesse prevalere, con conseguente abbandono di Roma, decidono di irrompere a San Pietro. La rappresentanza era per avere un papa romano ad ogni costo, e conclude l'ambasciata con una minaccia:” Guai a tutti i cardinali se il papa non fosse stato romano!” Il problema è che i cardinali papabili romani erano due: uno giovanissimo, l'altro decrepito. Il clima in città è di una tensione massima. Da una parte i caporioni pattugliano la città per evitare fughe dei cardinali francesi, dall'altro vengono blindate le porte di accesso alla città, i ponti e le strade anche con l'aiuto di armati giunti da Tivoli e Velletri. In piazza S. Pietro è posto un ceppo e una scure affilata come monito a tutti coloro che cercassero di turbare l'ordine e il conclave. Dalla piazza si elevano le grida di «Romano lo volemo lo papa.». Accadono strani giochi di potere in conclave tra i cardinali francesi, esce eletto un cardinale napoletano, già arcivescovo di Bari ma inviso alla popolazione. E qui entra in scena la poesia che solo Roma sa regalare. La voce si diffonde per la città, i caporioni accorrono armati a e con le insegne rionali a San Pietro, alcuni cardinali francesi provano a fuggire come possono. Gli altri rimasti, terrorizzati, spargono la voce che il vero eletto è il romano e decrepito Tebaldeschi e lo mostrano al popolo in chiesa. La folla lo circonda, quasi lo soffoca per baciargli abiti e le mani. Il povero vecchio non resiste però al dolore di quelle strette e confessa che il vero Pontefice è l'arcivescovo di Bari! Non l'avesse mai detto! Scoppiano dei tafferugli e i caporioni decidono di assediare il Vaticano fino a che il conclave non si fosse piegato al volere del popolo romano. Confusi e trepidanti i cardinali rimasti in conclave propongono l'arcivescovo Bartolomeo Prignano. Il popolo non è soddisfatto poiché non romano, tuttavia i caporioni vedono parzialmente accolto la richiesta poiché è italiano. Sedano dunque la rivolta e consentono al Pignano di assumere il titolo di papa con il nome di Urbano VI (1378-1389), conosciuto come uomo di virtù. Tutto questo per dire che è davvero giunto il punto di non ritorno per cui chi dovrà rappresentarci nella nostra infinita complessità, bipolarità, ambivalenza, folklore, paraculaggine, bonomia, fatalismo, provincialismo, infinita grandezza, dovrà prima conoscerci e riconoscersi tra di noi.

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