
Tassa di soggiorno, la stangata a Roma. Albergo deve al Comune quasi un milione

[«Roma Capitale» potrà incassare quasi un milione di euro, come tassa di soggiorno, grazie alla decisione della Corte dei conti. I magistrati hanno inchiodato il titolare di una struttura alberghiera di Roma alle proprie responsabilità, ossia il non avere versato al Comune, per ben tre anni – 2016, 2017 e 2018 – la obbligatoria imposta di soggiorno. Tirando le somme, la persona alla guida della società proprietaria della struttura destinata alla ricezione di turisti dovrà aprire i cordoni della borsa e versare nelle casse del Campidoglio ben 987 mila e 648 euro e 25 centesimi, cifra, questa, frutto, come sostenuto dalla Procura, del «omesso doloso riversamento al Comune» dell’imposta di soggiorno.
Chiarissimo il quadro, secondo i magistrati della Corte dei conti: in base alla normativa di settore, la società alberghiera avrebbe dovuto versare a Roma Capitale un importo di poco inferiore a un milione di euro quale tassa di soggiorno dovuta all’ente per gli anni 2016, 2017 e 2018, e ciò in base alle comunicazioni presentate dalla stessa struttura ricettiva al Comune. Di conseguenza, non ci sono dubbi: l’omesso versamento della corposa somma è riconducibile alla condotta tenuta dal gestore della struttura ricettiva.
E su quest’ultimo fronte, ossia sulla colpa addebitabile al titolare della struttura, non può assumere rilievo, precisano i magistrati, l’assoluzione da lui ottenuta in sede penale, in quanto «l’assoluzione è derivata da una modifica normativa che ha qualificato il gestore della struttura ricettiva come responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno, con conseguente venire meno del reato di peculato in caso di omesso versamento» nelle casse comunali.
Per quanto concerne, poi, il richiamo, fatto dalla difesa dell’albergatore, alla crisi del settore causata dal Covid-19, i magistrati ribattono con un solo dato: la tassa di soggiorno contestata è relativa agli anni 2016, 2017, 2018, e quindi essa «andava riversata al Comune di Roma» ben prima della pandemia, che ha si è manifestata in Italia con i primi casi alla fine di gennaio del 2020. Impossibile, quindi, secondo i magistrati, mettere in dubbio la consapevolezza nella scelta di non conferire a Roma Capitale le somme riscosse dalla struttura ricettiva a titolo di imposta di soggiorno, somme, peraltro, quantificate in modo preciso proprio grazie alle dichiarazioni fatte dal gestore della struttura. Irrilevante, poi, la procedura di concordato preventivo relativa alla società, poiché, osservano i magistrati, «non è stato ancora versato il credito» riconosciuto al Comune di Roma.
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