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Rom sgomberati, schiaffo ai cittadini in allarme: il Pd vuole denunciarli

Martina Zanchi
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 In tre anni l’amministrazione Gualtieri è riuscita a chiudere un solo campo rom, quello di via Cesare Lombroso, usando 500 mila euro di fondi europei e sistemando 145 persone (tranne le sei famiglie che si sono organizzate da sole) tra case popolari, alloggi delle cooperative e posti nei residence comunali. Anzi, un solo residence: quello di via della Cerquetta a La Storta, dove sono stati collocati dieci nuclei familiari su 33. È proprio in questa zona che la preoccupazione dei residenti ha iniziato a montare, tanto che già in 300 hanno firmato la petizione indetta dalla Lega del Municipio XV con cui si chiede almeno di ridurre il numero di persone alloggiate. Perché il timore, spiegano i firmatari, è che dopo aver chiuso il ghetto di Lombroso se ne stia semplicemente aprendo un altro.

 

 

Ma l’iniziativa non è piaciuta al Pd, che invece di ascoltare le preoccupazioni dei cittadini sta pensando di denunciarli all’Unar, l’Ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali. Il caso è scoppiato durante l’ultima commissione capitolina Politiche sociali, presieduta dalla consigliera Nella Converti, in cui è stata approfonditala chiusura del campo. A far saltare i nervi ai dem sono state alcune osservazioni dell’opposizione, a partire da Francesca Barbato di Fratelli d’Italia, che ha chiesto delucidazioni sull’assegnazione di quattro case popolari (scusandosi poi per aver usato il termine «spintarella»). Invece, per quanto riguarda La Storta, Stefano Erbaggi (FdI) ha ricordato che quel residence è già stato chiuso due anni fa, dopo aver generato «enormi disagi a livello territoriale». Netta la presa di posizione della presidente Converti: «Valuteremo, come commissione, se interessare l’Unar delle azioni che si stanno mettendo in campo nel XV, dove addirittura si procede a raccolte firme affinché venga evitato l’alloggiamento dei rom». Sarà l’Unar, ha proseguito Converti, a valutare l’esistenza o meno «di discriminazione razziale». Non solo: secondo l’assessore capitolino al Sociale, Barbara Funari, «si possono ravvisare elementi per una segnalazione» anche su ciò che è stato detto dai consiglieri in commissione. Ma se l’obiettivo dell’attacco erano i promotori, leghisti, della raccolta firme (FdI e Forza Italia stanno organizzando iniziative simili) l’effetto finale è quello di accusare di razzismo anche le 300 persone che hanno già firmato la petizione.

Cittadini che dicono di non essere stati nemmeno avvisati dell’arrivo dei nuovi «vicini di casa». E non è difficile da immaginare, visto che la chiusura del campo iniziata a luglio è stata tenuta volutamente sottotraccia dal Campidoglio per ben due mesi. Questo per «evitare speculazioni». Quindi una preoccupazione politica e mediatica. Invece i timori di semplici cittadini, che avrebbero diritto di essere informati e rassicurati, sono finiti in secondo piano. Oltre il danno pure la beffa: doversi difendere dall’accusa di razzismo. Come se questo aiutasse a rasserenare il clima.

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