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Incendio Roma, che cosa resta della riserva di Monte Mario: il reportage

Giuseppe China
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«Insieme al mio socio abbiamo rischiato di restare “fritti”. Stavamo tranquillamente pranzando in cantina, nel piano inferiore rispetto a dove stanno le macchine. Poi ho sentito gridare: “C’è qualcuno?”. A quel punto dalla telecamera interna della nostra officina ho visto i vigili. Che di fatto ci hanno salvati». È il racconto di un meccanico che lavora in una traversa di via Teulada, proprio alle pendici di Monte Mario, l’area verde carbonizzata dal devastante incendio andato in scena tra martedì e mercoledì. Il giorno dopo, i suoi effetti, emergono nella maniera più brutale. L’altura è un masso interamente nero. Per fortuna contrasta sia con la sua vetta dove sorge l’Osservatorio astronomico, sia con la «valle» che ospita i palazzi residenziali. Lo spaccato del maxi rogo emerge in via Ildebrando Goiran. La si deve percorrere tutta prima di trovarsi sulla destra un piccolo spazio aperto che fino a mercoledì era ricoperto di verde. La terra, priva di alberi, è imbiancata dalla cenere. Poi la strada si restringe sempre più: a destra gli effetti dell’incendio e a sinistra il muretto di un palazzo. Un’altra manciata di metri e ci si trova su una lunga scalinata in salita. Di fronte a noi l’oggetto che sintetizza al meglio ciò che è avvenuto. Un cartello, affisso alla recinzione, che fino a 24 ore fa era giallo è divenuto marrone scuro, in verde restano i suoi caratteri: «Roma Natura Ente regionale per la gestione del sistema delle aree naturali protette (...) Riserva naturale di Monte Mario».

 

 

Una porzione di terra di pochi metri in cui giacciono i resti di una bicicletta da bambino, sedie di plastica, un vecchio materasso e la rete in ferro, sacchetti di rifiuti. E ancora: una decina di tronchi d’albero completamente anneriti. Ormai però degrado e natura convivono, sottoposte alla regola di fiamme e cenere. Poco distante la fiancata di un palazzo che per puro caso non è stato coinvolto dall’incendio. Intanto un Canadair continua a lanciare acqua dall’alto. D’altronde nell’area si respira ancora fumo. Tornando verso via Teulada in un angolo c’è una mezza dozzina di auto: tutte portano i segni di quanto successo mercoledì. Di una Smart non resta pressoché niente: l’interno è stato carbonizzato, a parte gli scheletri dei due sedili. Solo nell’angolo dell’anteriore destra si intravede la vecchia macchina. A fianco ci sono i segni del «dolore» di un motore di una Fiat. Poco distante da noi un residente al telefono, senza dubbio uno dei proprietari di queste vetture. Discute gli aspetti legali con la compagnia assicurativa, cercando di ottenere almeno un rimborso.

 

 

Alle sue spalle c’è un negozio che vende kebab, i dipendenti hanno poca voglia di commentare quanto successo: «A breve arriva il titolare, parli con lui». Nel frattempo un’anziana signora, a bordo della sua bici, si avvicina sempre più al comando dei carabinieri Trionfale. Si ferma e poi realizza una serie di foto con il suo smartphone. Ciò che ritrae nei suoi scatti sembra colpirla nel profondo. «In tanti anni non ho mai visto nulla di simile». Dall’altra parte della strada c’è via Giovanni Bausan, presidiata dai vigili. Ingresso interdetto a chiunque, con l’eccezione di residenti e mezzi Ama di cui c’è un gran via vai. Scena analoga a quella di via Romeo Romei (dove sorge l’insediamento abusivo) che viene chiusa poco dopo l’ingresso della Corte d’Appello. Ci avviciniamo a un residente che individua i suoi colpevoli: «Se paghiamo per la manutenzione e questi sono i risultati. E poi mercoledì come ogni giorno dalla "favela" abbiamo sentito più di uno scoppio».

 

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