le tasche

Roma diventa la Capitale del lavoro precario

Damiana Verucci

Gli investimenti pubblici sono tornati a crescere dopo un ventennio nel quale Roma era la «pecora nera» dell’Italia e ad erogare i servizi ai cittadini al posto delle istituzioni erano le imprese. Nel frattempo, l’occupazione è cresciuta ma la Capitale è diventata la regina del precariato con i contratti flessibili che superano di gran lunga quelli a tempo indeterminato. È la fotografia scattata dall’ultimo rapporto della Banca d’Italia sull’andamento dell’economia romana, oggetto ieri di un Consiglio straordinario capitolino nel quale si è cercato di fare luce sugli aspetti positivi ma anche sui problemi ancestrali di una città, la cui capacità attrattiva è legata troppo spesso più alla sua storia che al suo «funzionamento».

Non c’è dubbio che il settore trainante sia da sempre il turismo che nel 2018 impiegava l’11,7% degli addetti del settore privato, a fronte di una media italiana del 9,9%. Anche il terziario, tuttavia, ha permesso una certa espansione economica, visto che ha raggiunto in dieci anni l’88,2% del valore aggiunto complessivo. Se però si va ad analizzare l’occupazione e la qualità del lavoro ecco il triste primato: quasi la metà dei contratti di lavoro dura solo un giorno e i lavoratori negli ultimi 4 anni, secondo il segretario della Cgil di Roma e Lazio, Natale Di Cola, «hanno perso il potere d’acquisto». Qualche esempio? «Nella nostra città un dipendente di Zètema, che ha una retribuzione mensile media di 1.300 euro, si è visto bruciare dall’inflazione più di 200 euro al mese; un dipendente di Atac quasi 300 e per chi lavora nel commercio, che ha il Contratto nazionale scaduto da 4 anni, la perdita di potere d’acquisto è stata di 3mila euro».

  

A dimostrazione di questo nel Lazio il 26% delle famiglie vive in povertà mentre il 30% dei lavoratori, con picchi nei settori del commercio e del turismo, guadagna tra gli 8 i 6mila euro l’anno. E anche se in vent’anni l’occupazione nella Capitale è cresciuta tra i laureati, altamente qualificati, si rileva un incremento (+1,3 per cento) di giovani che hanno impieghi al di sotto delle capacità per cui si sono formati. In base agli indici del Benessere equo e sostenibile (Bes) Roma è rimasta sì su livelli migliori della media nazionale ma a livello pro capite la popolazione è più povera.
Basti pensare che nell’immobiliare, i prezzi delle abitazioni in provincia, con circa tremila euro al metro quadro, si assestano sul doppio della media italiana. In questo quadro, non certo incoraggiante, le buone notizie vengono dal Pnrr e le prospettive future. I dati di Banca d’Italia rilevano come nel 2023 la spesa in investimenti fissi lordi è aumentata del 140% rispetto al 2022, anche se la spesa pro capite si assesta a 190 euro contro i 281 della media nazionale.

Secondo Antonella Magliocco, direttrice della sede di Roma della Banca d’Italia, «è un valore nettamente superiore a quello registrato da tutti gli altri Comuni italiani la cui spesa media in investimenti è cresciuta del 38%». Tanto basta a far dire al sindaco Gualtieri che «l’economia di Roma esce da un ventennio di stagnazione ma ci sono i primi segnali di rilancio che vanno consolidati. Senza crescita non c’è qualità del lavoro, qualità della vita e del benessere equo: questo è chiaro. Stiamo lavorando nella direzione di diminuire le diseguaglianze sociali, ma è un lavoro lungo da fare». Roma sta tornando protagonista del panorama internazionale anche per l’assessore al Commercio Monica Lucarelli: «L’economia di Roma produce da sola il 9 per cento del valore aggiunto nazionale ed è composta da 380mila imprese, pari al 7,7 per cento del totale nazionale, con 1,3 milioni di addetti, circa il 7,6 per cento del dato nazionale».