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Teatro di Roma, il Pd vuole posti ma frena le nomine

Giuseppe China
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È stata fissata a giovedì prossimo l’assemblea dei soci della fondazione Teatro di Roma. Eppure a poco più di un mese il gran poleverone alzato dalla sinistra sembra essere finito sotto un gran tappeto. Il 7 marzo probabilmente l’ente avvierà il famigerato iter di riforma del suo statuto, necessario a creare quella doppia poltrona «pretesa» dalla sinistra capitolina dopo l’affidamento- avvenuto il 19 gennaio scorso - dell’incarico di direttore artistico a Luca De Fusco (voluto da Regione Lazio e ministero della Cultura). Il Campidoglio però non ha ancora trovato un nome.

«Stiamo andando avanti velocemente ma non posso darle dei nomi perché non li ho. Penso - racconta a Il Tempo una fonte qualificata - che ci voglia ancora un po’ prima che venga individuato». Dunque la fase di riflessione per trovare la figura adatta prosegue. Come conferma lo stesso assessore comunale alla Cultura, Miguel Gotor, il quale ci fa sapere che non ci sono novità sulla vicenda del Teatro di Roma. Insomma sul tema le bocche sono cucite. Un dossier che scotta sul quale sta lavorando direttamente - e sembrerebbe esclusivamente - l’ufficio di Gabinetto del sindaco Roberto Gualtieri. Intanto all’appuntamento segnato in rosso sul calendario, relativo alla riforma statutaria, manca una manciata di giorni. Non bisogna dimenticare che questa affronterà un percorso delicato perché la modifica dovrà ottenere il placet della giunta e dell’Assemlea capitolina, e l’ok dalla giunta della Regione.

Per comprendere lo stallo attuale occorre tornare ai giorni in cui il sedicente mondo progressista gridava al «blitz» per descrivere la nomina del regista De Fusco, scelto dai tre consiglieri di amministrazione Danilo Del Gaizo, Daniela Traldi e Marco Prosperini (rispettivamente nominati da Regione Lazio e ministero della Cultura) che per l’occasione si sono riuniti all’ultimo piano del Teatro di Roma, in una sala prove vista poiché la stanza del Cda era chiusa. Nel frattempo il presidente Francesco Siciliano e il consigliere Natalia Di Iorio, entrambi espressione del Campidoglio, organizzavano una conferenza stampa infuocata per denunciare l’accaduto e continuare a sostenere l’altro candidato, Onofrio Cutaia. Tutto ciò accadeva lo scorso 19 gennaio.

Nei giorni seguenti dopo i sit-in di protesta, in Aula Giulio Cesare andava in scena il primo redde rationem in cui la maggioranza approvava un ordine del giorno che impegnava il sindaco Gualtieri «a valutare l’esercizio del diritto di recesso di Roma Capitale dalla fondazione (Teatro di Roma, ndr) ovvero l’iter prodromico allo scioglimento» della stessa. Una minaccia passeggera perché tutto cambia con l’annuncio «dem» di uno sdoppiamento del ruolo di dg: da una parte De Fusco concentrato sul versante artistico, dall’altra una figura gradita a Roma Capitale impegnata sul versante manageriale. La duplicazione dell’incarico scatena gli animi della base più oltranzista dei lavoratori dello spettacolo. I quali vengono convocati per un incontro chiarificatore con il primo cittadino Gualtieri. È lo scorso primo febbraio quando il sindaco per replicare alle accuse di aver «lasciato ai fascisti il Teatro di Roma» fa intendere ai suoi interlocutori che lo sdoppiamento è la soluzione migliore. Resta il fatto che il finale di questa commedia amara è ancora tutto da scrivere.

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