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Incendio Roma, la rabbia degli autodemolitori: "Almeno dieci denunce sull'incuria dell'ex Casilino 900"
La nube scura che l'altro ieri sera minacciava il quadrante Sud-Est della Capitale si è dissolta, l'odore acre è scomparso quasi del tutto se non nelle immediate vicinanze della zona più colpita dalle fiamme, viale Palmiro Togliatti, dove affacciano una trentina di autodemolitori, quasi tutti interessati dalle fiamme.
Loro, gli autodemolitori, sono lì, chi da l'altro ieri, chi da ieri mattina all'alba, ad assistere inermi alle operazioni: molti di loro hanno visto andare in fumo l'attività di una vita, che per alcuni andava avanti da generazioni. A farla da padroni oggi sono la rabbia e lo scoramento, condivisi da un'intera categoria che, ormai da decenni, si ritrova in un limbo autorizzativo che appare senza soluzione.
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«Il Comune e la Regione nonon stanno facendo nulla da luglio 2018, quando ci sono scadute le autorizzazioni. Ci sono svariati ricorsi in itinere per provare a riaprire, ma ogni giorno succede qualcosa e si ricomincia da capo. Quindici giorni fa abbiamo anche scritto all'assessore al Verde del VII Municipio per provvedere da soli allo sfalcio con risorse nostre, ma non abbiamo avuto risposta», lo sfogo di uno dei titolari delle attività, riunitisi tra gli spartitraffico carbonizzati e le macerie.
«Ci dicono che è colpa degli autodemolitori, ma siamo chiusi da 5 anni - spiega un altro - Sono state fatte 10 denunce per l'immondizia dell'ex Casilino 900, già l'amministrazione Alemanno avrebbe dovuto procedere alla bonifica e invece rifiuti e masserizie sono stati interrati sotto agli sfasci con gli escavatori. E noi ora siamo ridotti così».
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Sono circa 200 le famiglie coinvolte e sostentate dall'indotto delle attività, che soprattutto a Roma costituiscono una questione mai risolta: «Alcuni di noi sono qui da sessant' anni, quando c'era solo verde. Sono passati vent' anni dall'ultimo accordo di programma, poi siamo stati delocalizzati nel 2008 ma solo sulla carta, visto che nel 2022 siamo ancora qui: è la dimostrazione dell'inerzia di un Paese e soprattutto della Regione Lazio, che o sta ferma o delega a incapaci tutte le proprie competenze», spiega un altro proprietario.
Il quale racconta come avesse da poco investito centinaia di migliaia di euro per mettersi a norma, e non è l'unico: «Da sette mesi molti di noi stanno facendo i lavori di adeguamento per riaprire con le autorizzazioni provvisorie, nemmeno quelle definitive quindi, ma ogni giorno ce n'è una diversa». E c'è anche chi fa ipotesi sull'origine delle fiamme: «L'incendio, ci hanno detto, è partito dall'accampamento abusivo di nomadi nel parco, si è propagato al primo sfascio ed è arrivato fino all'ultimo prima che qualcuno intervenisse. E qui gli sfasci sono tanti, una trentina». Anche se la vera responsabilità, chiosa, è «l'abbandono» da parte delle istituzioni: «Siamo chiusi dal 2018, se fossimo stati aperti ci sarebbero stati i guardiani e non ci sarebbero mai state conseguenze così gravi». Non tutti titolari degli «sfasci», però hanno risposto alle domande dei giornalisti. Alcuni operatori tv, anzi, come riferisce l'associazione Stampa Romana, avrebbero subito minacce e «uno in particolare è stato preso a calci mentre riprendeva».