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La Cgil rompe gli indugi: “Nì”. Sì a un mini-termovalorizzatore per Roma

Claudio Querques
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Ora che tutti i sondaggi dicono che ai rifiuti per strada i romani preferiscono il termovalorizzatore "Il Fronte del No" si adegua e diventa Fronte del "Ni". No al progetto "mastodontico" del sindaco Gualtieri, che vorrebbe smaltire 600mila tonnellate l’anno. Sì a un "mini-termovalorizzatore" ma a condizione che venga ridimensionato. È la nuova linea – non ancora ufficiale - che filtra dalla Cgil. Né aderire, né sabotare, lo stesso motto adottato dai socialisti durante la Prima guerra mondiale (portò a Caporetto…). All’Ama intanto è tempo di bilanci. Sotto la voce smaltimento rifiuti sono comparsi i numeri: poco meno di 200 milioni di euro l’anno, cifra che comprende gli annessi e connessi, compreso il via vai dei Tir. Nel 2020 ne aveva spesi circa 129 mila. Ad avvantaggiarsene è soprattutto il Nord, principalmente Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana. Roma fornisce materia prima utile per produrre energia. Invece di incassare paga. Un business che consentirà ai governatori di quelle regioni di investire in energie alternative e non inquinanti. Il costo previsto del termovalorizzatore di ultima generazione sarà di circa 700 milioni di euro. Funzionando a pieno regime si ripagherebbe in poco più di 3 anni. Lo status quo per qualcuno resta un affare. E fuori da Montecitorio la fila dei lobbisti che hanno tutto l’interesse che a Roma non cambi niente si allunga. Chi fino a ieri usava gli argomenti dell’ambientalismo spinto – puntare ad oltranza su riciclo, riuso e raccolta differenziata – si sta pian piano riposizionando. I vantaggi che porterebbe "il mostro" – loro lo chiamano così - sono tali e tanti che negare l’evidenza sarebbe troppo. Il segretario romano della Cgil Natale Di Cola, da sempre vicino al presidente della Pisana, non aveva esitato a definire la scelta del termovalorizzatore «vecchia e sbagliata».

 

 

Seguito a ruota da Marta Bonafoni, capogruppo della Lista civica Zingaretti che ha parlato di "blitz" del primo cittadino. Una posizione che – paradossalmente - ricalca in parte le osservazioni più scettiche degli esponenti di Fratelli d’Italia. La strada resta lastricata di insidie. La riconversione è appena cominciata. Per ora prevalgono i dissapori. Nel caso della Cgil e del primo cittadino si farebbero risalire ai contrasti sulla scelta del nuovo direttore generale di Ama Spa, Andrea Bonassola, un «industrialista che dà poco spazio ai sindacati». In tanti scommettono sul fallimento dell’operazione-Gualtieri sperando che la sindrome "da stadio", cioè l’incapacità congenita di portare a termine i progetti, colpisca ancora. Ogni cittadino italiano (fonte Ispra) produce 480 kg di rifiuti l’anno. La produzione pro-capite più elevata è dell’Emilia-Romagna con 640 kg per abitante. La media del Lazio è leggermente al di sopra di quella nazionale.

 

 

Le direttive europee stabiliscono che entro il 2035 bisognerà raggiungere la percentuale di differenziata del 65% e che una quota pari al 10% continuerà comunque ad andare in discarica. Solo un margine del 25% circa si potrà dunque distruggere e valorizzare. Perché non pensare allora ad un impianto di dimensioni più ridotte e sfruttare la quarta linea dell’impianto di San Vittore?, è il ragionamento di chi spinge chi vorrebbe rivedere il progetto. «Personalmente non sono d’accordo – si schiera Umberto Marroni, membro della direzione nazionale pd – non si capisce perché Roma non debba fare per il Sud quello che ora il Nord fa per la Capitale. Avere un impianto di dimensioni maggiori porterebbe anche altri vantaggi, ci consentirebbe di entrare in questo mercato e abbassare la Tari ai cittadini romani. E non mi sembra cosa da poco».

 

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