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Niente McDonald's alle Terme di Caracalla. La sentenza del Consiglio di Stato è durissima

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La VI sezione del Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso di McDonald’s sull’apertura di un McDrive alle Terme di Caracalla. Ne dà notizia il Codacons, che era intervenuto in giudizio contro il colosso americano allo scopo di difendere il decoro urbano e le decisioni dell’amministrazione comunale.

Con il ricorso dinanzi al Consiglio di Stato la società McDonald’s Development Italy Llc impugnava la sentenza n. 5757 del 2020 del Tar Lazio che aveva bloccato la realizzazione dei lavori per l’apertura di un fast food e del relativo parcheggio nelle aree di viale Guido Baccelli. Il Codacons era intervenuto in giudizio sostenendo come l’area in questione fosse sottoposta a vincoli paesaggistici che impedivano l’apertura di un esercizio commerciale in grado di ledere il decoro e la bellezza delle Terme di 
Caracalla, con conseguenti danni sul fronte ambientale.

Il Consiglio di Stato ha confermato le tesi dell’associazione dei consumatori con una sentenza emessa oggi in cui si legge: «L’area in cui si trova l’immobile è tutelata dal PTP n. 15/12, art 134, comma 1, lett c), Valle della Caffarella, Appia antica ed Acquedotti, inclusa nel Centro Storico tutelato come sito Unesco, in area attigua alle Terme di 
Caracalla, per la quale le Norme tecniche di attuazione (art 46) prevedono espressamente l’obbligatorietà del procedimento di autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del Codice. Le parti appellanti evocano la preminenza della disciplina del PTPR sulla scorta, in primis, dell’art. 7, comma 5, delle norme di attuazione della delibera di adozione dello stesso PTPR regionale (n. 556 del 25 luglio 2007), il quale statuisce che, per la parte del territorio interessato dai beni paesaggistici individuati ai sensi dell’articolo 134, co. 1, lett. c), del Codice Urbani si applica, a decorrere dalla adozione, esclusivamente la disciplina di tutela del PTPR, che non prevede il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. Tuttavia tale conclusione si scontra sia con il dato letterale del PTPR, sia con le altre risultanze degli atti, correttamente intese. […] »

«Se già la stessa prospettazione originaria del progetto - si legge ancora nella sentenza - si scontra con la deduzione in esame - laddove si parla di cambio d’uso, da commerciale/servizi (uffici) a pubblico esercizio dell’edificio, che darebbe vita alla riqualificazione dell’edificio e ad un generale risanamento ambientale dell’area di intervento limitrofa -, in termini dirimenti va ribadita la natura autonoma dell’autorizzazione paesaggistica e della relativa valutazione, rispetto al titolo ed alla qualificazione edilizia (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 14 luglio 2014, n. 3618 e sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8260). Ciò che rileva è l’impatto sui valori paesaggistici espressi dal vincolo e dalla disciplina vigente in loco, che nel caso di specie risultano incidere in termini tali da richiedere la relativa autonoma valutazione ex art. 146 cit […] Emerge altresì dagli atti l’approfondimento motivazionale degli interessi pubblici connessi alla tutela dell’area e del contesto culturale coinvolto, nei termini correttamente indicati sia dalla sentenza impugnata che dalla difesa erariale, oltre che del tutto coerenti ai principi sopra richiamati in tema di autotutela. […] In proposito, l’art. 150 attribuisce espressamente sia alla Regione sia al Ministero il potere di ordinare la sospensione di lavori atti ad alterare i valori paesaggistici del territorio, a tutela sia dei beni già vincolati sia di aree che si intende tutelare con l’imminente adozione di un futuro vincolo paesaggistico; si tratta, pertanto, di un potere che può essere esercitato anche a salvaguardia di aree o immobili non ancora dichiarati di interesse culturale o paesistico. Nel caso di specie peraltro, sulla scorta di quanto sopra evidenziato, la disciplina vigente conferma la sussistenza del vincolo - nei termini predetti - e la conseguente necessità dell’autorizzazione paesaggistica, la cui mancanza ha pertanto in ogni caso giustificato e legittimato il ricorso al potere inibitorio in esame».

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