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Licei occupati dagli studenti. Ma è la strada giusta per rinnovare la scuola?

La lettera

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Il più antico Liceo Scientifico di Roma, nei giorni scorsi, è caduto nelle mani dei ragazzi che, per una protesta politica, non contro i docenti e la Dirigenza, hanno deciso di occuparlo, intraprendendo un’azione contro legge. Al grido di “Cavour Occupato”, dopo aver steso uno striscione rosso fuoco, che dal terzo piano è sceso fino al cortile della più antica palazzina dell’Istituto, i ragazzi hanno iniziato la loro protesta, nonostante i molteplici tentativi di discussione e patteggiamento fatti dalla preside e dai professori. Ebbene, in qualità di parte del corpo insegnante, mi sento in dovere di esprimere qualche considerazione rispetto a un evento che in questo momento ci ha scosso e induce una serie di quesiti. La polizia interpellata e tutto il personale scolastico che assisteva alle fasi di dibattito con gli studenti che paventavano, sin dalla prima mattina, il progetto di occupare l’istituto, hanno, più e più volte, manifestato l’insicurezza di una tale azione, resa ancor più problematica dalla situazione pandemica e dal fatto che, se chiusi tutti assieme in aule occupate, fosse impossibile fare il tracciamento Covid.

 

 

Un’azione che, invece, tra i banchi, al mattino, è la prima preoccupazione dei docenti per arginare eventuali focolai di ripresa del virus e per garantire la didattica in presenza. Per superare l’impasse innumerevoli sono state le proposte di mediazione tentate dalla dirigente e dai docenti. Come quella relativa all’autogestione, progettata su una calendarizzazione ragionata delle attività da loro scelte, e da sottoporre ai professori. Attorno a questa idea si è parlato un intero pomeriggio con la promessa di condividere qualsiasi decisione pacifica che avessero scelto anche con gli esponenti dell’Ufficio Scolastico Regionale già aperti al confronto sulle loro istanze. Mediazione che non è servita a nulla. Per una parte di allievi “irriducibili” l’unica strada da percorrere è stata quella di occupare l’Istituto scegliendo la via del contrasto. Un modo di operare adatto a una società come quella degli anni ’70, molto diversa da quella attuale nella quale la via maestra è il colloquio con gli studenti, analizzando con loro ogni forma di proposta per permettergli di esprimere i desideri, le istanze, i malesseri e la loro posizione. Quella che oggi è condivisibile nelle loro istanze e cioè il disappunto per le  scelte ministeriali, per una scuola con modelli educativi retrivi, viene vanificato da una occupazione immotivata, con lancio di fumogeni da stadio, in ambienti scolastici che fino a ieri hanno visto i docenti parlare di ogni problema di attualità, impegnati da anni in Dad o lezioni in presenza, senza paure di pandemia, senza risparmio di forze, senza reticenza ad attualizzare le lezioni a una situazione sociale mutevole e cangiante. Non è questo un tipo di protesta retriva e vecchia nei modi e nei contenuti? La protesta, invece, non avrebbe potuto prendere i connotati di un dibattito per mediare, aperto al confronto con i professori, in cui i ragazzi potevano esprimere tutte le loro idee? L’occupazione è una forma di protesta forte che oggi a noi sembra non fare più tutta questa differenza.

 

In un mondo iperconnesso, in cui si parla quotidianamente di docenti, mal retribuiti, mal valutati, mal messi dentro classi-pollaio, i ragazzi non hanno compreso che le loro istanze, in parte, sono le stesse dei professori, ma la maniera di portare sul tavolo i problemi non è più quella della chiusura, che è anche pericolosa in una struttura antica nella quale esistono luoghi che i ragazzi dovrebbero calcare solo sotto la guida del personale interno e ove i grandi numeri di assembramento possono creare una tragedia sanitaria. Noi riteniamo che la protesta sia continuare ad andare a scuola, fruire della preparazione di docenti sempre presenti, con le loro materie, la storia, la matematica e il latino, ma anche l’attualità nelle pagine dei loro programmi, con le risposte continue alle domande dei ragazzi, con l’organizzazione di attività scolastiche di recupero, potenziamento, indagini storiche-archeologiche nella scuola, Outdoor Education, colloqui intensificati tra scuola e famiglia. Tutto questo non ha bisogno di asserragliamento dentro le mura della scuola, con urla altisonanti fatte di due parole: “Occupiamo? Occupato!”. Forse sarebbe stato meglio lo scambio di idee, il colloquio pedagogicamente orientato per fare emergere, non solo i malesseri interni alla scuola, ma anche quelli di un'intera generazione alla quale, purtroppo, è stato dato tanto in dialogo e motivazioni ma per la quale l’unico pensiero resta quello della lotta, senza capire che i docenti sono dalla loro parte sempre, eccetto che nella violazione della legge, e nelle occupazioni, inservibili oggi: problematiche per il virus e semplicemente “arretranti” del percorso educativo da fare insieme e non da soli. Le Istituzioni non modificheranno nulla se le forze interne alla scuola non lavoreranno salde per cambiare cose che non funzionano sia nel corpo studenti, sia nel corpo docenti. Le relazioni all’interno della comunità scolastica si creano parlando con i giovani, aggiungendo domande e risposte ai loro perché, stimolando il loro pensiero all’azione mirata alla conquista della libertà, la vera libertà, che è data solo dal sapere e dalla parola. Non è libertà vera quella di dormire sprangati dentro le aule di una scuola, sommando malesseri e problemi a una situazione dell’Istruzione già piena di complicazioni ove, a nostro avviso, solo e soltanto con le risposte altisonanti, frutto del pensiero di tutti, riusciremo a fare sentire la voce di una istituzione importante senza la quale la società non cresce, non parla, non dà voce a intere classi di ragazzi. La scuola necessita di un rinnovamento profondo e non solo di politica che parla di fondi e risorse, di rinnovo dei contratti, di revisione dei programmi. Tutte proposte che, alla fine, lasciano aspetti inamovibili in un sistema che sembra si rinnovi solo a voce.

 

Claudia Marino

Docente di Lettere al Liceo Cavour di Roma

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