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Il segreto di Luigi Petroselli: sindaco comunista rispettato anche dalla destra. Michetti il successore?

Francesco Storace
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Cultura e semplicità, popolo e passione: e se fosse Enrico Michetti, 40 anni dopo, il successore di Luigi Petroselli a sindaco di Roma? Certo, a Roberto Gualtieri e ai suoi sembrerà una bestemmia, ma quell’antico comunista tutto di un pezzo che fu rispettato anche dalla città di destra, non era proprio un burocrate di palazzo come quelli che conosciamo in quest’epoca di grigiore politico. Oggi se ne celebra appunto il quarantennale della morte – lo stroncò un infarto al termine di un intervento sofferentemente critico con la linea di Enrico Berlinguer al comitato centrale del Pci del 7 ottobre 1981 – con un seminario al Tempio di Adriano. Lo ricorderà Walter Tocci, con la presentazione di un giornalista importante in quel tempo per le cronache capitoline, Giuseppe Pullara del Corriere della Sera. E vale la pena di ricordare un personaggio così anche da questa parte del campo, sulla scia dell’omaggio che gli rese, nelle ore della morte improvvisa, anche Gianni Letta, allora direttore del nostro quotidiano. Non il rituale rispetto per l’avversario che se ne va dalla nostra vita, ma il sincero apprezzamento per chi all’impegno politico tributò la sua. Leggendo tra gli appunti di chi ne scrisse negli anni una pagina dell’urbanista Vezio De Lucia: «Il Progetto Fori forniva a Petroselli una formidabile occasione di dare sostanza all’idea di unificazione culturale della città. Voleva che la storia dell’antica Roma non fosse patrimonio solo degli studiosi ma di tutto il popolo di Roma, anche quello più sfavorito». Bastano queste parole per descrivere un uomo a tutto tondo e innamorato della Capitale, pur avendo vissuto a Viterbo.

 

 

Sulla storia dell’antica Roma quante polemiche arroganti nelle scorse settimane per le parole di profonda conoscenza pronunciate da Michetti. Petroselli avrebbe zittito i critici, anche se attaccavano un avversario. Ecco, viene da dire che non si può essere degni di rappresentare la politica di Roma se non si conosce la fatica di Luigi Petroselli. Che alla Capitale il buon Dio – anche quel sindaco veniva da una famiglia cattolica, al punto di essere ad un passo dal seminario a cui poi preferì l’ideologia comunista – riservò per appena un paio di intensissimi anni. Sì, rispettò la destra di Roma come sindaco della città. I più anziani se lo ricordano ancora quando arrivò quasi per primo, inaspettato – come faceva nei luoghi insanguinati dalla violenza e dal terrorismo – nella sede del Secolo d'Italia distrutta dalle bombe. Walter Tocci lo testimonia esattamente come accadde. Chi c’era, ricorda ancora lo stupore e la riconoscenza per un gesto di straordinaria umanità politica. In gioco non c’era solo il rispetto per un giornale organo di quel Msi suo tenace oppositore, ma anche il valore della libertà di stampa. «Rimase tre giorni di seguito nel palazzo del Messaggero per condividere con i giornalisti e le maestranze il dolore per il barbaro assassinio di un tipografo». Nella storia amministrativa di quel sindaco di Roma restano impressi passaggi di straordinario valore per le periferie della metropoli. Oggi si vive ancora il disagio dei quartieri più lontani dal centro della città, ma Petroselli lavorò già allora alla realizzazione dei servizi nelle borgate abusive. Si pose il problema di sviluppare in quelle zone l’edilizia, puntò ad abbattere le baracche.

 

 

Proprio Tocci, che di Roma è stato vicesindaco, racconta ciò che gli resta nel cuore, la demolizione del borghetto di Pietralata. «I nostri militanti avevano seguito da tempo la lotta dei baraccati per ottenere l’alloggio e quindi ci trovammo tutti a loro fianco nel giorno stabilito. La mattina presto arrivò una carovana di camion e ruspe guidata dall’ingegner Vergari, autorevole direttore del Servizio Giardini». Questi non era esattamente un comunista. Ma quell’ingegnere, «un tipo un po’ militarista«, sembrava un generale di corpo d’armata investito da Petroselli di ottenere la vittoria sul campo. «Infatti ricorda Tocci - in una sola giornata – da non crederci oggi – il Comune demolì le casupole, realizzò al loro posto un giardino pubblico e trasferì gli abitanti negli alloggi nuovi a duecento metri di distanza. Di sera una festa liberò la tensione accumulata durante la demolizione, quando cioè venivano giù quei tuguri, certo contenitori di sofferenze, ma anche luoghi delle piccole gioie della vita, che solo ora venivano alla memoria. Sui volti di donne e di uomini la dignità di aver conquistato un diritto, quella incontenibile fierezza delle persone che si esprime nel momento del riscatto sociale». Petroselli ebbe un rapporto davvero speciale col popolo e per questo fu rispettato da tutti.

In Campidoglio ci si può anche montare la testa: fece esattamente il contrario. Gliene va dato atto ancora oggi. Certo, era comunista, ma soprattutto uomo capace di autonomia, libero: non dovette aspettare il via libera del partito per censurare l’aggressione armata dell’Urss all’Ungheria. Anticipò il Bottegone per dire no a quell’azione proditoria. In città ebbe, oltre al chiodo fisso della periferia, una speciale attenzione per la riduzione del traffico privato: un’impresa davvero impossibile nella Capitale d’Italia. A lui si deve la seconda linea della metropolitana, ribattezzata linea A, che collegava la stazione Ottaviano, nei pressi di Città del Vaticano nel rione Prati, a quella di Cinecittà, vicino agli studi cinematografici. Ai suoi funerali presero parte personalità importantissime, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, il cardinale Ugo Poletti e il sindaco di Parigi Jacques Chirac. Quarant’anni dopo l’omaggio di allora vale ancora. Perché in tutte le sponde politiche c’è il bene e il male. Possiamo dire di sapere da tempo dove era schierato Luigi Petroselli.

 

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