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Le denunce mai ascoltate sull'abbandono delle rive del Tevere: giacigli con fornelli e discariche a cielo aperto

Valentina Conti
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Il terrore nello sguardo dei residenti osservando la scena al di là della strada interdetta con i vigili a sorvegliare, paura e rabbia insieme. Tanta rabbia. Non si esclude nulla. Ma la prima ipotesi sul rogo che ha distrutto il Ponte di Ferro, un pezzo di cuore della Capitale, nella notte tra sabato e domenica, è che sia divampato da alcune delle baracche sottostanti. Le baraccopoli sempreverdi di quel tratto di Tevere che da anni hanno resistito a tutto, dalle piene agli sgomberi, ai buoni propositi e alle chiacchiere varie degli amministratori di turno. Le denunce senza fine de Il Tempo, che da più di tre anni a questa parte hanno documentato lo stato di degrado ancorato a quelle catapecchie lungo il fiume che continuavano a scorgersi, fino a prima dell’incendio, solo buttando un occhio da quel ponte ora crollato a metà, sono rimaste inascoltate. L’area tra Ostiense e Marconi, tra discariche e accampamenti di fortuna, sul tema ha fatto storia. Chi ci legge ricorderà la vasca da bagno immortalata in tanti servizi del nostro giornale sull’incuria imperante sotto al Ponte dell’Industria legata a filo doppio alle sacche di illegalità. Sempre immobile (ad oggi) e in bella vista come una presenza «ingombrante» quanto basta, un po’ il simbolo surreale di quella quotidianità oltraggiata da troppo. Si è andati sempre peggio, la situazione è, di fatto, sfuggita di mano. Anni di segnalazioni senza riscontro giunte a chi di dovere per bocca degli abitanti di Ostiense e Marconi.

 

 

«Avevamo fatto un casuale sopralluogo qualche giorno fa proprio nel punto interessato sul fronte Marconi - racconta Claudio de Santis, presidente del Comitato di quartiere «L’Ostiense» - imbattendoci in molte baracche ben strutturate, con perfino delle porte. Sono lì da parecchio, sotto la struttura, con l’evidente pericolo dell’uso di bombole del gas e fornelli». «Tutti sapevano, ma non ci sono mai stati interventi», tuona De Santis. «Sono anni che conviviamo con queste scene, con la baraccopoli sotto al ponte - dice Rosamaria Lagravi, abitante - non è solo questione di decoro. Nemmeno per idea. Il punto sono i rischi collegati a questi giacigli, e questo, il problema sicurezza, non credo sia mai interessato a chi ci amministra». «Gli interventi di bonifica una tantum non risolvono e non hanno risolto», aggiunge Edoardo Manni, altro residente. L’VIII e l’XI Municipio, del resto, sono in pole nella «lista nera» delle baraccopoli dei Municipi di Roma, la cui mappa taglia ancora trasversalmente la città.

Ecco, dietro le fronde di quel sottobosco che lambisce il ponte tanto caro ai romani, quella fogna a cielo aperto solo ora saltata agli onori delle cronache, ci abbiamo visto di tutto. Lamiere e mobili deturpati: frigo, reti e materassi, stendini, e praterie di rifiuti di ogni tipo. Plastica, pezzi di metallo, poi cucine, salotti e camere da letto open air a ridosso delle tubature della corrente elettrica. E i fumi che si alzavano la sera a mo’ di insoliti barbecue, vecchi e nuovi avvistamenti sotto ai piloni. I cittadini di Marconi e Ostiense lo spettacolo di quel tran tran di pentole e divani (fin dai tempi della mega discarica «der ponte de fero») lo conoscono a menadito. Ieri l’acqua calda giù, oltre quelle scale putride, l’hanno scoperta tutti gli altri, non certo loro. A loro sono rimasti solo gli sfoghi esternati a gran voce in una nottata incredibile di fiamme e paura, intossicati da quell’odore acre che forse avrebbero potuto non respirare mai.

 

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