disfatta capitolina

Campidoglio, l'era Raggi finisce in rissa: giunta bloccata sulla riforma delle partecipate

Fernando Magliaro

È finita ieri, l’avventura di Virginia Raggi e dei 5Stelle alla guida di Roma: seduta straordinaria del Consiglio comunale sui poteri per Roma Capitale con deputati e senatori intervenuti. E con insulti e urla da parte dei 5Stelle e un’intervento del sindaco, Virginia Raggi, da rubricare fra gli incidenti di percorso.

Su Roma Capitale negli ultimi 5 anni si sono usati fiumi di inchiostro fra proposte di legge e articoli di stampa. Siamo passati da una Raggi che non voleva poteri (audizione in Regione nel 2016) a una Raggi che ne scopre la necessità verso metà mandato. Di proposte di legge ne sono state presentate molte ma, di fatto, i nodi irrisolti sono sempre gli stessi: riforma costituzionale e poteri di rango regionale, o legge ordinaria? I rapporti con i Municipi e quelli con gli altri Comuni dell’hinterland, con la Città Metropolitana, con la Regione e con il Governo. A parole tutti a favore dei poteri “speciali”: ognuno, poi, vede a proprio modo il significato di “speciali” e il percorso da seguire. Per cui, dopo anni - è almeno dal 2000 che va avanti questa lunga riflessione - siamo ancora di fatto fermi al punto di partenza.

  

La sceneggiata, l’ennesima del circo 5Stelle in Aula Giulio Cesare, inizia di buon mattino: i grillini, tutti connessi online non rispondono all’appello. Il tentativo è quello di non far aprire la seduta per mancanza del numero legale. Al terzo tentativo, però, le opposizioni sono in numero sufficiente e si comincia. Fila tutto liscio fino alla fine. 

Quando il presidente del Consiglio comunale, Marcello De Vito, sta per avviarsi a concludere la seduta, si materializza Virginia Raggi che chiede la parola. 

Prima sottolinea l’inutilità dei lavori dell’Aula: “Devo essere onesta: ho ascoltato il dibattito per capire se ci fossero ulteriori mozioni e proposte. Invece oggi è stato un inutile duplicazione di un dibattito che abbiamo già ascoltato nelle sedute precedenti”.

Subito dopo, sfruttando questo palcoscenico, Raggi si lancia in un’intemerata: “Si è persa l'occasione per parlare di provvedimenti più utili alla città. A 45 giorni dalle elezioni, questo Consiglio non aggiunge nulla, l'assemblea ha preferito fare un Consiglio di facciata piuttosto che parlare di riforme importanti. Vorrei fosse registrato il mio disappunto”, ha affermato riferendosi alle delibere dell’ultimo minuto.

Le frasi di Raggi hanno immediatamente sto fuoco alle polveri con Paolo Ferrara, il consigliere grillino noto per l’uso disinvolto di photoshop e le metafore ardite, a urlare i canonici insulti (“buffoni”, “vergogna”) a destra e a manca.

In realtà, come ha poi replicato De Vito a Raggi, i consigli straordinari hanno un proprio iter di convocazione che non interferisce con quelli ordinari. Ciò che mancava ricordare è la quantità di mesi perduti nelle querelle interne al Movimento 5Stelle, l’erosione prima e la valanga dopo di uscite dal gruppo pentastellato che hanno messo Raggi e i suoi in minoranza, la quantità di Consigli comunali saltati per mancanza del numero legale. E, infine, che dopo cinque anni più la proroga ci si riduce all’ultimo minuto per approvare bilanci fermi da anni, quel che non va deve essere ricercato dentro la Giunta più che nel Consiglio. La chiosa di questi 1868 giorni sembra quella di bambini stizziti che provano a portar via il pallone. Senza riuscirci nemmeno.