Roma, indagato il poliziotto di Termini. Ma i cittadini sono dalla sua parte
Ma certo, ci mancava pure il poliziotto sotto inchiesta. A Roma non ci facciamo mancare più nulla e tocca assistere persino all’iscrizione nel registro degli indagati dell’agente che ha bloccato nell’unica maniera che poteva l’africano che minacciava con un coltellaccio chiunque passasse alla stazione Termini.
Le immagini del delinquente ghanese hanno fatto il giro delle televisioni e del web. Nelle strade della Capitale, e non solo, l’indignazione è stata grande e non certo perché un poliziotto ha sparato, ma per un pericoloso jihadista – già, pure questo – che seminava terrore.
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Eppure la Procura della Repubblica ha deciso che il servitore dello Stato si deve pagare l’avvocato. Atto dovuto, dicono. No, l’unico atto dovuto era bloccare il delinquente, semmai. Un premio dovrebbero dare a quell’agente, altro che indagine per eccesso colposo dell’uso legittimo delle armi. Una roba allucinante, che indispettisce la gente perbene. Uno che agita un coltellaccio in quella maniera non lo fermi certamente con mazzi di fiori. E se i cittadini manifestano rabbia è proprio perché stanno senza se e senza ma dalla parte degli uomini in divisa. Giustamente.
Una indignazione che va rappresentata a ogni livello. Per fortuna ci sono i colleghi dell’agente di polizia capitato in un’indagine ingiusta. È molto bello leggere da organizzazioni sindacali come il Mosap e il Coisp, e anche da rappresentanti di carabinieri, la disponibilità a fronteggiare le spese legali. Avremmo voluto parole analoghe dai rappresentanti della politica, almeno a livello romano. Per carità, Enrico Michetti ha espresso solidarietà al poliziotto, denunciando l’invivibilità della Stazione Termini. Ma tutti gli altri candidati a sindaco, che fine hanno fatto?
A partire da Virginia Raggi, sindaco uscente: che aspetta ad annunciare la costituzione di parte civile del Comune di Roma contro il ghanese che minacciava tutti e la difesa del poliziotto? E Roberto Gualtieri, in quale centro sociale si è nascosto pur di non prendere posizione su una vicenda che deve vedere la sicurezza al primo posto nella Capitale d’Italia?
No, pare che ci sia la paura di sporcarsi le mani. Al massimo, a sinistra, ed è il caso di Carlo Calenda, si interviene più che altro per infastidire la concorrenza, ma non c’è una chiarezza sufficiente. Chi riceverà quel poliziotto in Campidoglio per fargli sentire la vicinanza della città se ad ottobre non sarà già stato prosciolto?
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A volte viene il dubbio che qualcuno preferisca l‘africano che minaccia agli uomini in divisa che ci difendono. E che magari festeggerebbero se arrestassero il poliziotto più che il ghanese. Con la differenza che – a differenza dei delinquenti matricolati che in genere si fanno 24 ore di galera per poi uscire – se le manette le avessero messe all’agente sarebbe rimasto mesi in carcere.
È davvero difficile capacitarsi che un servitore dello Stato possa finire nel registro degli indagati perché ha tentato di bloccare un uomo pericoloso. In queste circostanze, il rischio di colpire chi attenta all’incolumità altrui c’è sempre. Ma se si preferisce mandare a processo chi difende la pubblica sicurezza, finirà che per i due soldi che prendono, gli agenti saranno costretti a girarsi dall’altra parte.
Per 1500 euro al mese non si può andare persino a giudizio per aver fatto il proprio dovere. L’atto dovuto va a sbattere contro la logica e la percezione del pericolo. Demotivare le forze dell’ordine è la cosa peggiore che si possa fare: è anche il ministro dell’interno, Luciana Lamrogese, che deve battere un colpo. Non di pistola, ma di dignità.
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