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Condannati i 4 africani accusati di aver drogato e lasciato morire Desirée Mariottini

(foto Nicola Dalla Mura)

Valeria Di Corrado
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Condannati i quattro africani accusati dell'omicidio di Desirée Mariottini. Si è concluso così il primo grado di giudizio del processo per la morte della 16enne di Cisterna di Latina trovata senza vita la notte tra il 18 e il 19 ottobre 2018 in uno stabile abbandonato in via dei Lucani 22, nel quartiere romano di San Lorenzo. La III Corte d'assise di Roma ha inflitto l'ergastolo solo al senegalese Mamadou Gara (detto Paco) e al ghanese Yusif Salia (detto Youssef); mentre ha inflitto 27 anni di reclusione al nigeriano Chima Alinno (detto Sisco) e 24 anni e mezzo al senegalese Brian Minteh (detto Ibrahim), perché ha assolto questi ultimi dall'accusa di stupro. In pratica, secondo il verdetto dei giudici, i quattro africani sono responsabili di aver somministrato a Desirée un mix letale di sostanze stupefacenti e psicofarmaci, che l'ha portato alla morte, ma solo due di loro (Gara e Salia) avrebbero abusato della minorenne. Non ha retto quindi in toto l'impianto accusatorio della Procura: il pm Stefano Pizza aveva chiesto l'ergastolo per tutti e quattro. La Corte non ha nemmeno riconosciuto le aggravanti dei futili motivi e della crudeltà.

 

Dopo tre mesi di prelievi, campionature e riscontri incrociati, la perizia medico legale consegnata alla Procura di Roma aveva confermato la ricostruzione fatta «a caldo» dai pm: Desirée fu violentata e morì per un arresto respiratorio, causato della dose massiccia di metadone che le era stata somministrata dai suoi aguzzini, insieme a un mix di cocaina, eroina e psicofarmaci. La ragazza si sarebbe potuta salvare, se i soccorsi fossero stati chiamati per tempo. L'accertamento condotto dall'istituto medico-legale de «La Sapienza» aveva infatti stabilito che le lesioni riportate a livello vaginale dalla 16enne testimoniano che, finché era cosciente, aveva opposto resistenza a un rapporto sessuale completo. A ulteriore riprova di ciò, i periti avevano fatto presente che la lacerazione della membrana imenale risaliva a poco prima del suo decesso. In parole povere, Desirée perse la sua verginità a seguito della violenza. Ma due degli imputati, Alinno e Minteh, sono stati assolti dall'accusa di stupro perché non sono state trovate tracce del loro dna sul corpo della vittima, né sui suoi indumenti. 

 

 

Desirée era «proprio stanca di droga, come se fosse rallentata», aveva riferito un testimone, tanto da non avere le forze di alzarsi da quel sudicio materasso sul quale l'avevano fatta sdraiare per violentarla, e che poi, dopo lunghe ore di agonia, è diventato il suo letto di morte. Chiunque abbia provato in quelle ore ad avvicinarsi alla vittima, veniva allontanato. Salia in particolare avrebbe ritardato l’arrivo del 118, ammonendo gli altri: «Meglio che muore lei, che noi in galera».

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