La rabbia delle famiglie: "La Raggi ha chiamato solo il deputato. Ci sono morti di serie A e B"
In 4 mesi Virginia Raggi non ha detto una parola sul caos dei cimiteri capitolini e sugli imperdonabili ritardi nelle sepolture, nonostante le decine di articoli pubblicati su «Il Tempo». Un silenzio tombale che ha rotto soltanto pochi giorni fa, dopo che il deputato del Pd Andrea Romano ha denunciato su Twitter il suo dramma di padre che non riesce a dare sepoltura al figlio - morto ormai due mesi fa - perché manca il personale Ama addetto alle operazioni cimiteriali.
«Ho il cuore colmo di dolore - ha scritto la sindaca su Facebook giovedì - Dolore per la sofferenza di un padre che ha perso da poco un figlio e che ha espresso la rabbia di non poterlo neanche piangere al cimitero. Un dolore per la perdita di un proprio caro che accomuna tante famiglie, soprattutto in questo periodo. Ho chiamato Andrea Romano per esprimergli la mia vicinanza; per dirgli che, da madre, posso soltanto lontanamente immaginare cosa stia provando». «Mi sono scusata pubblicamente con una nota perché ho ritenuto giusto farlo - prosegue il post della Raggi - Ho convocato l’azienda che cura i cimiteri per chiedere cosa sia accaduto. Al di là delle motivazioni dei ritardi legati all’emergenza Covid, mi è stato assicurato un intervento straordinario per fare fronte all’aumento del numero di sepolture».
In realtà la pandemia è solo la punta dell’iceberg. Questo stato emergenziale nei cimiteri romani c’era già prima del Covid. La Raggi sembra essersene accorta solo ora, solo dopo la denuncia dell’onorevole Romano e dopo che il suo sfidante alle prossime elezioni Carlo Calenda ha intuito di recente che questo era un filone da cavalcare. La morte dovrebbe essere l’unica cosa realmente democratica. Eppure, non è così fino in fondo. Ci sono famiglie che scrivono da mesi mail di protesta ad Ama, senza ricevere risposta. «Mio fratello è morto il primo febbraio, a 57 anni - racconta Cinzia Rapali - Da allora il suo feretro si trova in una camera mortuaria al cimitero Laurentino, almeno così mi hanno detto. I miei nipoti, di 15 e 18 anni, non possono deporre un fiore sulla tomba del padre o sapere dov’è. Per i miei genitori anziani, se già è inconcepibile la morte di un figlio, lo è ancor di più non potergli dare sepoltura. Un simile trattamento non è da terzo mondo, perché non esiste al mondo un altro posto dove accada una cosa del genere». «Eppure noi abbiamo il loculo - precisa la signora Rapali - dovremmo semplicemente liberarlo dalla salma di un altro mio parente, i cui resti vorremmo cremare, per poi tumulare mio fratello. Sono tre mesi che scrivo ad Ama. Ho detto che vado io con pala e piccone ad aprire il loculo, ma mi hanno risposto che sono pazza. Si nascondono dietro al Covid o alla carenza di personale, ma questo non è un mio problema, deve risolverlo la sindaca. La Raggi si dovrebbe vergognarsi. Disturba che abbia chiamato l’onorevole Romano, solo perché un parlamentare, e ignori le altre famiglie. I defunti dovrebbe essere tutti uguali, anche se poi non è così».
«Se la sindaca Raggi vuole risolvere davvero il problema delle cremazioni a Roma, deve realizzare un nuovo impianto. Noi siamo pronti a farlo in 4 mesi: sei nuove linee di forno costerebbero tra i 7 e gli 8 milioni, in più potremmo riconoscere al Comune un aggio del 15%». Giuseppe Vintino è l’amministratore unico di Domicella srl, la società che gestisce il forno crematorio di Domicella, un paese di 1.800 abitanti in provincia di Avellino che sulla gestione delle cremazioni sembra la Svizzera. Il suo impianto a 5 linee di forno che funzionano tutti i giorni dell'anno dalle 7 alle 24, riuscendo a cremare 50-60 salme al giorno, circa 350-400 a settimana. Il crematorio di Prima Porta, nella settimana appena trascorsa, ne ha cremate solo 280: quindi circa 46 al giorno, considerato che la domenica è spento (il Contratto d’appalto in essere prevede che in questo periodo dell’anno ne siano cremate 60 al giorno). Insomma, Davide batte Golia.
Ma c’è di più: il proprietario dell’impianto di Domicella in questi mesi ha dato alle agenzie funebri romane la possibilità di tenere i defunti nelle sue celle frigorifero, anche per un mese, in attesa che arrivasse l'autorizzazione di Ama. Adesso, invece, ha deciso di non accettarle più. «Perché mi devo caricare di un problema che non è il mio? - è la domanda retorica che si pone Vintino - Ama se ne libera e poi noi restiamo intasati. Basti pensare che abbiamo da 40 giorni due salme romane nelle celle frigorifero in attesa ancora dell’autorizzazione alla cremazione. Da noi arrivano bare da tutta Italia. Questi ritardi nelle pratiche ce li ha solo Roma. Tutti gli altri comuni le rilasciano in 24-48 ore».
«Tre o quattro mesi fa - racconta l'imprenditore a "Il Tempo" - Ama ci ha chiesto di fare un'offerta per cremare le salme che aveva in deposito. Abbiamo proposto un prezzo vantaggioso, ma non si sono fatti più sentire. Noi siamo disposti anche ad andare a Roma per prenderne una ventina al giorno, ma devono avere l’autorizzazione già pronta. Il Comune di Domicella, con l’aggio del 15% che gli versiamo rispetto a quanto incassiamo dalle cremazioni, non fa pagare la tassa dei rifiuti ai cittadini, per esempio». Un paese di 1.800 anime riesce a dare lezioni alla Capitale: ha un impianto efficiente, in cui le famiglie assistono tramite telecamere all'ingresso della salma nel forno. A Roma, invece, le ceneri dei defunti non si sa nemmeno di chi siano.
Ora il Servizio cimiteri capitolini ha rifatto la gara per l’affidamento della gestione e della manutenzione del forno crematorio di Prima Porta (importo base di gara: 3,9 milioni di euro per 36 mesi). Ma nel 2023, quindi prima della scadenza, le 6 linee del Flaminio (già datate e spesso guaste) dovranno smettere di funzionare per via delle emissioni nell’aria. Quindi si ripresenterà il problema, che invece potrebbe essere risolto con un investimento strutturale.
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