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Processo Luca Sacchi, Anastasiya fa la vittima: era la mia vita. Lacrime in aula

Valeria Di Corrado
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"Oltre al lutto per la morte di Luca, che non ho potuto vivere, ho dovuto combattere contro chi diceva che ero io l'assassina". Si sfoga così Anastasiya Kylemnyk davanti ai giudici della prima Corte d'assise di Roma, nel processo per l'omicidio di Luca Sacchi (il suo ex fidanzato), avvenuto il 23 ottobre 2019 all'Appio Latino, in via Franco Bartoloni.

La ragazza di origini ucraine sta facendo l'esame come imputata di spaccio (anche se la 26enne ha la doppia veste di parte lesa per le ferite riportate). A processo anche Valerio Del Grosso e Paolo Pirino, i due ventenni autori materiali dell’aggressione, Marcello De Propris, che consegnò l’arma del delitto, il padre di quest’ultimo, Armando, accusato della detenzione della pistola. "Mi hanno fatto diventare colpevole di quello che era successo, insieme a Giovanni Princi. Ho omesso qualche cosa, come il particolare di avergli dato le chiavi della macchina, perché altrimenti si sarebbero allontanati anche quei pochi amici che mi erano rimasti. È stato un periodo talmente complicato, soprattutto i primi mesi. Non riuscivo a capire di chi mi potevo fidarmi. Tanti pensavano che io avessi un rapporto con Princi alle spalle di Luca". Il pm Giulia Guccione, su questo punto, precisa: "Non c'è un solo messaggio in cui si desume che Anastasiya fosse l'amante di Princi". "Io volevo andare a convivere con Luca, volevo mettere su una famiglia con lui", ha aggiunto la 26enne.

 

Golfino nero, lunghi capelli biondi raccolti in una coda, voce sicura, con lieve cadenza romana, Kylemnyk prosegue il suo racconto della sera dell'omicidio: «Princi, che era il migliore amico di Luca, ci disse che doveva fare un impiccetto con la moto, forse una moto rubata. Non ci diede altri dettagli, ma non gli diedi peso perché non parlavano d’altro con Luca. Mi chiese di tenergli una busta, ma forse solo perché avevo lo zainetto capiente. Se ci fosse stata Clementina, la sua fidanzata, avrebbe forse chiesto a lei di tenerla. Era come una busta di pane arrotolata, circa 25 centimetri in lunghezza e 15 in larghezza. Più o meno come una mano. Mi mise questo pacco nello zaino, ma io e Luca neanche lo toccammo. Non gli diedi importanza, gli dissi “non c’è problema”».

 

"Non vidi quello che fece Princi con lo zaino perché intanto tornavo verso Luca. Quando me lo ridiede era già vuoto, me ne accorsi prendendo l’acqua. Poi ci disinteressammo in attesa di Clementina e Federico (fratello di Luca, ndr) per passare la serata al pub. Princi restò con gli amici. Restammo in zona, io avevo il telefono in una mano e il guinzaglio nell’altra". "A un certo punto - riferisce la ragazza - sentii come una forte compressione alla testa, non proprio dolore, lì per lì non capii, mi chinai in avanti toccandomi la nuca, poi sentii “dammi sto zaino”. Allargai le braccia per farglielo sfilare più facilmente, ero a terra, mi rialzai girandomi verso sinistra e non vidi più nessuno. Poi scorsi le gambe di Luca - a quel punto il padre del ragazzo si allontana dall’aula in lacrime -. Pensai a uno scherzo, a un petardo, andai di corsa da lui, non so se a piedi o in ginocchio sul marciapiede...». Anche Anastasiya comincia a piangere quando deve spiegare l’esatta posizione del corpo e l’udienza viene interrotta per qualche minuto.

L’esame riprende poco dopo: «Pensavo fosse svenuto - continua Anastasiya - mi chinai su di lui, “oh Lu’, dai amo’”. Provai a rimetterlo dritto, pensavo fosse caduto per i suoi problemi alla schiena, gli misi la mano sotto la testa e sentii un liquido molto caldo. Vidi la mia mano rossa. Urlavo forte, ma non c’era più nessuno vicino a me. Mi dimenticai anche del cane. Cercai di tamponare la ferita con il suo cappuccio, mi portarono fazzolettini, gli dissi “Luca respira!”: perché era ancora vivo. Ripetevo “ambulanza, ambulanza” ma il soccorso non arrivava mai. Pensai anche che il rumore che avevo sentito fosse quello del colpo sulla mia testa, o di un petardo finito tra i piedi. Ancora non capisco come fecero ad arrivare direttamente a me con Luca e Munoz lì vicino. Si avvicinò Princi, che si spaventò. Qualcuno disse “non ce la fa”. Gli risposi in modo aggressivo, non facevo avvicinare nessuno. Risposi male anche a carabinieri. Non mi mossi finché non arrivò l’ambulanza. A un certo punto arrivò Federico: gli urlai “chiama Luciano”, un medico amico loro. Volevo sapere da lui come comportarmi. Urlai anche contro il barelliere».

Anastasiya ricorda anche cosa provò nelle ore successive: "Io pensavo che Luca ce la facesse e volevo avere tra le mie mani chi aveva fatto del male alla persona che amavo più al mondo, la persona più importante della mia vita. Poi quando ho saputo che era morto la mia vita è finita".

Poi la ragazza, prima della fine del suo esame, decide di togliersi qualche sassolino dalla scarpa: "La famiglia Sacchi a un certo punto mi ha cacciato. Se fosse stato per me, io sarei stata con il fratello di Luca e ai suoi genitori fino all'ultimo dei miei giorni. Quando poi i genitori hanno cambiato avvocato, è iniziata la tensione. Eppure nella loro casa ho vissuto per 3 anni. Ho capito che nessuno mi voleva al funerale di Luca. Scrissi al fratello e al cugino, ma nessuno mi rispose. Venni a sapere della data funerale da un mio amico".

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