Tutti in classe, trincea covid, ma una scuola su due a Roma non ce la fa. I racconti di presidi e prof
Trincea Covid a scuola, ma a un mese e mezzo dalla fine dell’anno scolastico, si fa più dura la battaglia di presidi e docenti per garantire la sicurezza in classe, con il conto alla rovescia per il rientro in aula al 100 per cento il 26 aprile, e “a Roma oltre il 40 per cento delle scuole superiori non ha spazi sufficienti per garantire quelle misure di profilassi con più del 50 e del 75 per cento degli alunni in aula” quasi una scuola su due, lancia l’allarme il presidente dell’Associazione nazionale presidi del Lazio Mario Rusconi che avverte: «Ancora una volta rimaniamo sorpresi dall’annuncio fatto dal governo sul ritorno in classe al 100% dei ragazzi nelle scuole superiori a partire dal 26 aprile, perché le condizioni di sicurezza da far rispettare agli studenti (distanziamento buccale di un metro o come raccomandato dalla recente circolare del ministero della salute a due metri in aula, nei corridoi, nei bagni, nelle palestre) non sono cambiate e allo stesso tempo sono rimasti identici gli spazi delle aule, dei corridoi, delle palestre. Una contraddizione che rischia di generare ulteriore disorientamento nelle famiglie, tra i ragazzi, tra il personale scolastico quando manca poco più di un mese alla conclusione dell’anno scolastico».
Sfiniti da un anno di battaglia, dirigenti scolastici e insegnanti raccontano come sono arrivati all'ultimo colpo di remi che li aspetta.
Manuela Amici, professoressa dell’istituto comprensivo Paolo Stefanelli di Roma racconta: "Per mesi la messa in sicurezza, senza orari, senza sosta. Parole d’ordine: distanziamento e protezione individuale. Il luogo di aggregazione per eccellenza, trasformato in luogo della distanza. A ottobre i primi contagi. Colleghi che si ammalano, uno dopo l’altro. A scuola non si dovrebbe avere paura, e invece la paura c’è. E c’è la stanchezza, fisica e mentale. Tre, quattro ore di seguito a spiegare indossando una Fp2, davanti a 27 alunni, in un’aula che non è mai abbastanza grande per sentirti sicuro. Le mascherine che coprono ogni espressione, un po’ come chiedere a un pianista di suonare senza strumento. Fai del tuo meglio per infondere ottimismo e coraggio ai ragazzi . continua la professoressa Amici -, per non compromettere la didattica, ma alla fine della giornata ti chiedi sempre se sia stato abbastanza. Ti chiedi se dietro quelle mascherine ci siano volti o pensieri tristi che non hai colto, se qualcuno si sia contagiato, se anche tu sia stato attento a proteggerti. Isolamenti precauzionali costanti che hanno interrotto il contatto tra i ragazzi e con i ragazzi; i loro volti smarriti sugli schermi. Sempre più numerosi i casi di depressione tra gli alunni, te ne accorgi dai loro silenzi: e così - conclude la docente -, la psicologa della scuola ha l’agenda piena di appuntamenti".
Olimpia Cello, docente fiduciaria del plesso "Amici Di Meglio", è una delle insegnanti che ha contratto, e superato, il Covid: "Arrivi mezz’ora prima per preparare la classe - racconta -. All’ingresso ti aspetta la colonnina del gel, ti prendono la temperatura e indossi la doppia mascherina. Sai che non servirà, hai contratto il Covid nonostante mille attenzioni, ma è un rituale che esorcizza la paura. Cominci con l’ispezione della classe e la distribuzione delle mascherine sui banchi. Entrano i tuoi alunni. Si siedono e ti chiedono di uscire per proteggerti dai loro respiri. “Maestra, possiamo indossare la mascherina di scuola?” Una sbirciata per ricordare i loro volti, intuire le loro emozioni, accorgersi di quanto siano cresciuti. Un breve momento di lezione ed è di nuovo tempo di igienizzare i banchi, andare al bagno e fare merenda. Dopo un altro momento di lezione si è pronti per il pranzo, il giro di igienizzazione e ancora al bagno. Lezione, arieggiare, uscire con il freddo o la pioggia, distanza di un metro, sepsi delle mani, cambio delle mascherine. Ogni momento scandito dalla consapevolezza che puoi mettere in pericolo la vita del tuo entourage, un passo falso che può essere fatale. Dopo otto ore suona la campanella e speri di aver assicurato una giornata di scuola che di normale - conclude con rammarico la maestra Olimpia Cello - a volte, ha solo l’orario".
Maria Pia Langerano, è professoressa dell’Ic Paolo Stefanelli. "La prima misura che abbiamo adottato in una situazione che ci sta mettendo a dura prova, come quella che stiamo vivendo da un anno - racconta - è stato impegnarci con tutte le nostre risorse nel garantire ai ragazzi la normalità: nello svolgimento regolare delle lezioni, in un clima sereno in cui continuare a crescere in armonia, e nel mantenimento di una relazione umana difficile da coltivare, dovendo rispettare misure come il distanziamento e l’obbligo di indossare la mascherina. Abbiamo a che fare con giovani in formazione, per i quali vengono progettati processi educativi diversi, che rispondono alle esigenze dei singoli, seppur nell’ambito di una piccola cellula sociale, quale può essere considerata la classe. Si comprende, dunque, come qualsiasi tipo di interruzione del cammino che si sta sperimentando costituisca una criticità che ciascun ragazzo deve affrontare con i mezzi di cui dispone. Ecco perché la normalità è la risposta alle condizioni che l’eccezionalità del presente ci impone, anche con il supporto delle tecnologie che ci hanno offerto la possibilità di misurarci con i nostri alunni su linguaggi e metodologie non tradizionali".
Daniela Ricci, professoressa all’Ic Paolo Stefanelli, racconta la fatica di essere stati privati di un sorriso. "La pandemia ci ha privato di tante cose, nella vita quotidiana, e una di queste è il sorriso, il lubrificante indispensabile per gli ingranaggi della macchina scuola. Quando uno studente otteneva un bel voto, quando comprendeva bene la nostra spiegazione, quando suonava la campanella della ricreazione, quando riceveva un conforto per un brutto voto, quando aveva uno sguardo d’intesa con il compagno, quando era l’ultimo giorno di lezione prima delle vacanze - racconta Daniela Ricci -, ci ricompensava con un sorriso. Ora questa espressione facciale è sempre più rara e anche qualora si verificasse, la mascherina la neutralizza insieme al virus. Ma il virus esiste ancora oltre la mascherina, il sorriso di quel preciso momento è invece perso per sempre".
La maestra Barbara Bruni della “Rosetta Rossi" racconta solitudine e paura. "Due parole - dice - si sono impresse fortemente nel mio animo, due parole hanno rappresentato la mia vita scolastica di quest’anno: solitudine e paura. Le procedure generano solitudine: dalle procedure, i divieti: non si possono abbracciare i nostri alunni, non si può interagire con loro come si faceva prima. Si può guardarli da due metri di distanza e si può vivere con il disinfettante e con il termometro digitale sulla cattedra. La paura, invece, è guardare colleghi e alunni come possibili untori. Agire quotidianamente non può essere soltanto lo schivare proiettili immaginari. Oggi, non è facile essere una maestra; il lavoro in classe o in DDI è diverso. E i lavori di gruppo, i cartelloni posizionati a terra e i gruppi di bambini in ginocchio a colorare, gli abbracci, i sorrisi, la voglia di festeggiare? Dov’è tutto questo? è solo un ricordo. Ora ci sono solo manine da disinfettare e frasi da ripetere mille volte: “non state così vicini”, “non abbassate la mascherina” “non toccare le cose dei compagni”.Non diteci che è scuola questa. Per me non lo è. E’ un’altra cosa .. è sopravvivere al meglio”.
Ombretta Bianchi, maestra della “Rosetta Rossi” racconta la fatica smisurata di gestire un’organizzazione scolastica sopra le proprie forze. "È ormai un anno che ogni giorno ci battiamo, come se fossimo in prima linea, per proteggere i bambini dal virus, per assicurare la loro a frequenza a scuola - dice -. Mi sono ritrovata come maestra, come referente Covid e come collaboratore del Dirigente scolastico a vivere l’impossibile, a gestire un’organizzazione che andava sopra le nostre forze".
"Essere sempre in trincea come docente - contimua la maestra -, mi è sembrato come rivivere passati e dolorosi momenti della nostra storia: provare, a costo di tanti sacrifici, a trasformare un periodo drammatico in occasione di rinascita, anche se, a volte, con occhi, pieni di lacrime, per la fatica e per la tensione".
"La mia vera battaglia è stata rovesciare la prospettiva e, in ogni parola o gesto, creare all’interno della classe un’occasione di crescita nei miei alunni, anche quando l’ansia e la paura mi logorava. Ho donato sorrisi nello schermo del computer durante la didattica a distanza e durante le lezioni in presenza ho portato tutti gli alunni a saper leggere gli occhi, mentre il resto del viso era nascosto dalla mascherina, per fargli cogliere tutte le mie espressioni ricche di ottimismo.
"Ho capito - conclude l'insegnante - che per fare scuola, in questo ultimo anno di emergenza ci vuole coraggio, ci vuole passione: voglio e devo caricare gli alunni di positività e motivarli ogni giorno mentre, ancora, la mia anima soffre e sogna la scuola viva di sempre".
Ma a un mese e mezzo dalla fine dell’anno scolastico la trincea scuola diventa più dura. Ecco cosa dice Barbara Marinari, professoressa della “Rosetta Rossi”. "È una sensazione particolare quella che noi insegnanti proviamo quest'anno: la scuola ci sembra una trincea di prima linea: sempre a schivare contagi, fare la conta di quanti alunni sono in presenza e quanti in DDI, di chi è contatto diretto o contatto di contatto. Sempre sotto l'osservazione dei genitori preoccupati, "perché a casa con noi vive la nonna anziana" o perché "è nata da poco la sorellina". Con la costante paura che i prossimi a contagiarsi potremmo essere proprio noi e con l'ansia continua per le decisioni dei piani alti . Intanto, quaggiù, ai piani bassi, sentiamo le lamentele che le scuole sembrano caserme.... e noi insegnanti che ci danniamo l’anima per non fare avvicinare i ragazzi che semplicemente vorrebbero prendersi per mano, con i Dirigenti che cercano di quadrare il cerchio degli organici, delle quarantenne e dei collaboratori".
Super lavoro anche in estate. "Abbiamo passato le ferie estive lo scorso anno a guardare planimetrie, attaccare frecce, ordinare banchi. Abbiamo passato le feste di Natale col terrore di non rivederci a gennaio.
Poi hanno di nuovo chiuso ciò che gli insegnanti e i Dirigenti e il personale Ata hanno difeso con le unghie e con i denti per mesi, quella scuola che è l’ultima cosa da chiudere.. E ora siamo stanchi".
E poi i presidi, tutto sulle loro spalle.
Ecco cosa dice Flavio Di Silvestre: “Dirigo due Istituti Comprensivi, l’I.C. “Paolo Stefanelli”, in zona Trionfale, vicino il policlinico Gemelli, e la “Rosetta Rossi”, in zona Primavalle. Complessivamente 2200 alunni, oltre 320 docenti. Sono istituti con vocazione alle attività inclusive e alla prevenzione della dispersione scolastica. Dal mese di ottobre del 2020, abbiamo dovuto affrontare pesanti carichi di lavoro e nuove responsabilità, legati all’attuazione delle misure di prevenzione dal rischio di diffusione del virus Sars-Cov-2".
"Mettere in esercizio i plessi scolastici - continua Di Silvestre - garantire tutte le misure di distanziamento, far comprendere l’importanza della cultura della sicurezza si è rivelato per il Dirigente scolastico un compito arduo, moralmente e fisicamente (con continui sopralluoghi, controlli, monitoraggi, riunioni operative con lo staff e con la RSPP e il medico competente)".
"Abbiamo attuato, con fatica, procedure e prassi per permettere ai ragazzi di percepire nella scuola un clima di positività e di serenità - continua il dirigente scolastico -. I nostri Istituti sono stati, più volte, interessati da numerosi isolamenti precauzionali e quarantene. Oltre ai normali compiti, legati alla gestione contabile, alle svariate rilevazioni ministeriali, alle incombenze amministrative, svolte con personale ridotto a causa dei contagi, olte alle relazioni con gli enti locali, alle relazioni con i genitori degli alunni o con i rappresentanti di classe sono stato costretto a lavorare anche fino a 12 ore consecutive per poter rapidamente informare famiglie e docenti in merito agli isolamenti precauzionali e alle quarantene, comunicati dall’ASL RM1 anche alle ore 21.00 o 22.00. Non un attimo di riposo. Sempre in continua tensione.
Il lavoro, d’intesa con i referenti covid, è stato svolto anche di sabato e di domenica. La fatica di aggiornare continuamente, giorno per giorno, il sito web, con le riduzioni di orario, con le rimodulazioni urgenti per i plessi, comunicando anche chiusure improvvise, chiedendo scusa alle famiglie per il disagio arrecato, si è rivelato un logorio continuo. Nessuna tregua. Nessun aiuto. Solo la soddisfazione di aver fatto il proprio dovere fino in fondo".
Daniela Porfiri, invece, è dirigente scolastico all'istitituto comprensivo "Via Soriso". In questo anno scolastico siamo stati chiamati ad affrontare una sfida di estrema complessità che ha impegnato in ogni istituzione scolastica - racconta - tutte le risorse umane e professionali disponibili, senza risparmio di energie da parte di nessuno anche nei periodi di ferie o ben oltre l’orario di servizio. Tutti, collaboratori del dirigente, direttore SGA e personale amministrativo , collaboratori scolastici e docenti hanno fornito il proprio fondamentale contributo.
Ha richiesto a ciascun dirigente scolastico impegno continuo, tenacia e grande forza d’animo che, a volte possono aver vacillato di fronte al carico di responsabilità, alle difficoltà organizzative che si sono presentate durante il percorso, ma non sono mai venute meno.
Riaprire in sicurezza - continua la preside -, garantendo a personale, alunni e famiglie un'organizzazione che fosse funzionale non solo al regolare svolgimento delle attività didattiche ma che , soprattutto, permettesse di stare bene a scuola è stato ed è un impegno totale e totalizzante, che richiede in ogni momento vigile attenzione per la necessità di individuare le risposte più adeguate ed interventi più appropriati in una situazione in continua evoluzione.
E' stato questo l'aspetto più importante del nostro agire: porre in essere le condizioni per favorire la creazione di un clima positivo e sereno perchè la scuola, seppur con regole molto più rigide e routine più cadenzate rispetto al passato, tornasse ad essere un luogo accogliente in cui crescere negli apprendimenti, nelle relazioni interpersonali e nella formazione personale.
Infine - conclude Daniela Porfiri -, un cenno alla gestione dell’emergenze Covid. Inevitabilmente, si è sovrapposta alle normali attività. E’diventata la cifra quotidiana della vita scolastica e coinvolge dirigente, segreteria, staff e Referenti Covid in ogni momento della giornata e della settimana".
Chiude l'intervento di Giovanni Simoneschi, DS dell’Ic "Largo San Pio V". "La pandemia ha avuto un impatto drammatico sulla scuola, in primo luogo impoverendone la qualità dell’offerta formativa. Consideriamo per esempio l’azzeramento delle iniziative di ricerca, di coinvolgimento degli studenti, di un’idea di scuola che non sia una semplice trasmissione frontale degli apprendimenti; osserviamo quello che è accaduto appiattendo, come purtroppo era necessario, l’intera organizzazione scolastica alle esigenze sanitarie. Nonostante la grande macchina dell’istruzione durante la pandemia sia andata avanti con costi umani notevoli, è emersa la sua fragilità, dimostrata soprattutto dall’abbassamento generalizzato delle competenze e dall’aumento dei casi di dispersione. Ora dobbiamo avere la possibilità concreta, con la destinazione di fondi appositi, con l’eliminazione di rigidità amministrative, con la presenza di personale che possa dedicarvisi, con l’incremento di personale amministrativo, con il supporto degli enti territoriali nella formazione dei patti di comunità, con l’istituzione di un middle management stabile e adeguatamente ed economicamente riconosciuto, di offrire ulteriori opportunità formative per il recupero e l’aumento delle competenze. E se di più non è stato possibile fare per la pandemia, la sfida della “ricostruzione” deve prevedere una piena autonomia scolastica e il coraggio di un vero e grande investimento sulla scuola, con interventi che la pandemia ha rivelato che non possono che essere drastici e profondi. La più opprimente difficoltà del lavoro per un dirigente scolastico è infatti quella di sentire la responsabilità di offrire un’istruzione di qualità e avvertire - conclude il dirigente scolastico dell'I.C Largo San Pio V- che questo interesse non trova la strada per affermarsi in modo prioritario e definitivo".