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"Sono Casamonica" e non pagava la cena a ristorante

Valeria Di Corrado
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«Sono Angelo Casamonica, il nipote di zio Vittorio». Bastava presentarsi, sfoggiando un cognome che a Roma fa paura e sottolineando la parentela con il capostipite del clan malavitoso (quello dei funerali in stile Padrino), per ottenere quasi ogni giorno pranzi e cene a scrocco nei ristoranti della Capitale.

 

 

Un vizio criminale per Angelo Casamonica, 39 anni. La Procura ha chiesto il suo rinvio a giudizio contestandogli 13 estorsioni nei confronti di altrettanti ristoratori, di cui 6 non sono andate a buon fine perché alcuni si sono rifiutati. L’indagine condotta dai carabinieri della stazione Quadraro, coordinati dai pm Lucia Lotti e Andrea Cusani, è partita dalla denuncia presentata tre anni fa da un ristoratore. Quest’ultimo ha riferito di aver ricevuto una chiamata da un uomo che si era presentato come «un Casamonica», per poi precisare di essere il nipote di zio Vittorio e Quirino (ossia, Guerino Casamonica). Aveva poi aggiunto che doveva festeggiare una ricorrenza con la propria compagna, con «la precisazione intimidatoria rivolta al proprio interlocutore che avrebbe dovuto sapere come andavano certe cose e che non poteva certo spiegarle per telefono». Un giro di parole per far intendere al titolare che voleva cenare a credito. Partendo da questa denuncia gli investigatori hanno acquisito i tabulati telefonici dell’utenza in uso ad Angelo Casamonica e hanno individuato un centinaio di chiamate effettuate negli ultimi mesi a vari ristoranti sparsi per tutta Roma. I rispettivi proprietari sono stati convocati per avere un riscontro.

 

 

La maggior parte di loro - forse temendo ritorsioni - ha detto di non ricordare di aver ricevuto telefonate da «un Casamonica». Altri hanno ammesso di essere stati contattati, ma che il cliente avrebbe regolarmente saldato il conto. Sei ristoratori, invece, hanno spiegato di non aver assecondato l’indagato che chiedeva «insistentemente, in virtù del legame parentale della sottointesa appartenenza all’omonimo clan malavitoso, di consumare a credito un pasto completo per sé e la propria accompagnatrice». Altri 7 gestori, infine, hanno ammesso di essersi «piegati» a quella pretesa estorsiva, temendo soprusi più gravi. Così, una volta ha «scroccato» un pasto da 70 euro in un ristorante in zona Furio Camillo; il 10 febbraio 2018 non ha pagato un conto da 100 euro in una trattoria a Monti; il 17 febbraio si è alzato da tavola senza passare per la cassa dopo aver mangiato a sbafo portate di pesce per 100 euro al Laurentino. Dopo soli 4 giorni ha cenato con la stessa cifra in un hotel sulla Tuscolana: quando il proprietario gli ha chiesto di pagare, «dopo averlo insultato», gli ricordava «in tono arrogante e intimidatorio, di essere il nipote del famigerato zio Vittorio».

 

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