Il Covid li ha divisi ma Giuseppe e Rosina si ritrovano in corsia
Prima di entrare nella stanza, Giuseppe prende coraggio e si tira su dal letto. Sedendosi con lentezza e determinazione insieme, chiede all’infermiera di sistemargli velocemente i capelli: vuole farsi trovare al meglio dalla persona che lo attende dietro quella porta. Un gesto minimo - pettinarsi i capelli - ma dal significato abissale, che trasfigura in un attimo questo freddo corridoio d’ospedale in uno spazio carico d’emozione, di trepidante attesa, d’amore.
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Lì, a pochi centimetri dai piedi del suo letto, in una stanza di terapia intensiva, ad aspettare Giuseppe c’è Rosina, sua moglie, compagna di una vita e altra metà del suo cielo da oltre cinquant’anni. Stanno per rincontrarsi dopo venti giorni di tremenda separazione - e mai forse nella loro vita sono stati lontani per così tanto tempo.
Entrambi sono stati ricoverati al San Filippo Neri dopo aver contratto il Covid, lei in terapia intensiva, lui in sub-intensiva. Venti giorni drammatici e lunghissimi, passati immobili su un letto d’ospedale circondati da macchinari e tubi e flebo e ossigeno artificiale, senza potersi parlare, vedere, toccare. Sono entrati in ospedale nello stesso momento, insieme, come insieme hanno vissuto gran parte della loro vita, perché l’amore, anche nella tragedia, non smette di tessere le sue insondabili trame. Ieri finalmente, immortalati dalle foto de LaPresse, hanno potuto rivedersi, parlarsi, toccarsi grazie alla incredibile umanità del personale sanitario dell’ospedale, che ha avuto l’idea di far rincontrare, fosse anche solo per qualche minuto, Giuseppe e Rosina, mettendo fine ad una separazione troppo ingiusta e repentina per chi ha passato una vita insieme.
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«Sei pronto?», chiede un’infermiera a Giuseppe. Un cenno affermativo del capo e i sanitari spingono il letto dentro la stanza, affiancandolo a quello di Rosina. I due si guardano, si sorridono, si danno la mano: un istante che vale tutta una vita, che riscrive di colpo la traiettoria di due destini che sembravano essersi smarriti, che rimette le cose al loro posto. E il posto di Giuseppe e Rosina può essere solo questo: l’uno accanto all’altro, in salute e in malattia, esattamente come si sono promessi guardandosi negli occhi mezzo secolo fa. La commozione è al massimo, soprattutto quella di Giuseppe, visibilmente emozionato nel rivedere Rosina, la quale gli fa coraggio, lo rincuora. Poche parole - come ci si aspetta da chi sta insieme da cinquant’anni - tanti gesti: minimi, misurati, potentissimi. Le mani che si stringono, gli sguardi che s’incrociano, i sorrisi appena accennati. Un’istantanea in grado di racchiudere la storia di un’intera vita: lei nata ad Avellino nel 1939, ha vissuto in Inghilterra prima di incontrare lui, di due anni più grande e dipendente del Viminale. Poi non si sono lasciati più. Ed è bastato assistere a questo loro incontro per capire il perché: i loro volti, pur provati dalla malattia, allorché messi uno davanti all’altro, hanno scagliato di colpo un’anonima stanza d’ospedale - presenti compresi - in una dimensione altra, sospesa, al centro della quale non c’è il Covid ma un legame indissolubile più forte di tutto. È la forza soprannaturale di chi ha scritto indelebile nel proprio destino quello dell’altro. Per questo nei prossimi giorni Giuseppe e Rosina torneranno ad incontrarsi ancora: prima in una stanza di ospedale e poi, finalmente, fuori.
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