Nomine Asl, indagati Zingaretti e D'Amato
Il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato sono indagati nell’ambito dell’inchiesta sulle nomine dei dirigenti delle aziende sanitarie. Nel mirino dei magistrati di piazzale Clodio ci sono una decina di persone, tra cui alcuni dirigenti delle Asl che sarebbero stati nominati attraverso una procedura che, nell’estate 2019, ha già fatto sorgere più di un mal di pancia. L’obiettivo dell’inchiesta è quello di verificare se sia o meno stato commesso un abuso d’ufficio.
In realtà la domanda a cui i pubblici ministeri stanno cercando di rispondere è stata sollevata per la prima volta tra i banchi del Consiglio Regionale laziale.
Il 12 agosto del 2019, Antonio Aurigemma, del gruppo Fratelli d’Italia, ha presentato un’interrogazione nel tentativo di avere delucidazioni sulla nomina di un noto professionista a dirigente di una Azienda sanitaria locale. Il sospetto è che il direttore amministrativo non avesse i requisiti richiesti dalla legge.
Aurigemma infatti richiama un disegno legislativo del 1992, il numero 502, in cui viene specificato un preciso requisito: «aver svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione».
Una caratteristica che non solo viene ripresa anche da una norma regionale, ma che inizialmente è stata prevista anche dall’avviso «pubblico per la formazione dell’elenco di idonei alla nomina di direttore amministrativo delle aziende e degli enti del servizio sanitario», indetto l’1 ottobre 2019 dalla stessa Regione.
Nulla di strano se non fosse che il 24 ottobre dello stesso anno arriva una nuova delibera. Cambiano i requisiti. Viene richiesto «lo svolgimento di qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa con diretta responsabilità delle risorse umane, finanziarie e strumentali». In altre parole sparisce l’esigenza di aver prestato servizio per cinque anni in strutture sanitarie.
«Il provvedimento amministrativo è palesemente illegittimo e anzi contrario ad atti aventi forza di legge», dice Aurigemma.
La Regione risponde spiegando di aver dato «un’ interpretazione estensiva per dar modo a un’amplia platea di professionisti di partecipare».
Proprio come sarebbe accaduto in Lombardia, Umbria e Toscana. Una replica che non convince il consigliere regionale che non ha trovato traccia di procedure, come quella laziale, capaci di superare le norme nazionali. Così la domanda rimane inevasa. Una risposta, forse, arriverà dalla Procura di Roma.