Inchiesta Diabolik, i cellulari di Piscitelli dopo un anno cominciano a "parlare"
Il telefono di un trafficante albanese arrestato in Francia. E un computer che dopo aver trascorso oltre un anno provando combinazioni di lettere e numeri è riuscito a «sbloccare» i tre cellulari di Fabrizio Piscitelli.
Indagini diverse che potrebbero ridisegnare il contesto criminale della Capitale rivelando anche elementi utili per capire chi ha partecipato all’agguato in cui il leader degli Irriducibili della Lazio il 7 agosto 2019 è stato ucciso su una panchina del Parco degli Acquedotti.
In Germania, a Monaco, i telefoni di Diabolik hanno iniziato a «parlare» rivelando i contatti, le chat e le conversazioni dell’ultras che secondo gli inquirenti sarebbe stato al vertice di una delle più importanti consorterie criminali di Roma. Per questo custodiva gelosamente le sue conversazioni. Ma in Baviera le contromisure adottate da Piscitelli sono state superate. A riuscirci è stata un’azienda specializzata che già in passato ha estratto il contenuto del cellulare di Carlo Russo, l’imprenditore napoletano amico di Tiziano Renzi e coinvolto nel «caso Consip».
Una svolta importante per le indagini. In quei tre smartphone infatti ci potrebbero essere anche i dialoghi relativi all’appuntamento «trappola» in cui Piscitelli è cascato finendo nelle mani del sicario travestito da runner. Le ultime parole di Diabolik sono racchiuse in quei telefoni. All’interno ci sarebbero anche conversazioni più datate in grado di chiarire meglio la realtà della malavita romana.
Elementi importanti per i magistrati che alcune settimane fa hanno anche ricevuto un altro aiuto inaspettato. Gli inquirenti francesi hanno infatti fermato un uomo, un albanese che già da tempo è nel mirino della Procura di Roma: le indagini sono condotte dal pm Nadia Plastina. Dall’altra parte delle Alpi hanno deciso di avvisare immediatamente gli inquirenti italiani. Nei cellulari sequestrati al pregiudicato infatti sono state rinvenute conversazioni che riguarderebbero criminali romani, tra cui anche Diabolik e quelli che un tempo erano i suoi «soci». L’arrestato non avrebbe conversato direttamente con Piscitelli, ma avrebbe parlato di Piscitelli e di altri contesti illegali romani.
I nuovi sviluppi investigativi avrebbero svelato importanti retroscena grazie anche a una collaborazione internazionale tra inquirenti. E gli affari legati alla droga adesso non costituiscono l’unica pista che i magistrati romani stanno battendo. I nemici di Diabolik e del sodalizio che ruotava intorno a lui erano molti. C’erano i contrasti tra il suo braccio destro Fabrizio Fabietti e il clan Fragalà, vicino a Francesco D’Agati, «u zio Ciccio, quello che rappresenta oggi la mafia qua a Roma», l’ultraottantenne chiamato a mediare «tra le organizzazioni mafiose operanti nella Capitale». E ancora i dissidi con le famiglie di Tor Bella Monaca, con le vittime dei pestaggi come Anxhelos Mirashi e con i clan di Ostia. E poi c’erano i debiti con l’ex esponente della Banda della Magliana arrestato recentemente, Roberto Fittirillo, del Tufello. In molti si sarebbero lamentati del crescente potere di Piscitelli, del suo agire troppo spesso solitario. Come nel caso della tentata pax mafiosa mediata da Diabolik per porre fine al contrasto tra il clan Spada e il gruppo capeggiato da Marco Esposito, Barboncino.
E poi circolavano «voci», accuse dette a mezza bocca e mai conclamate, ma capaci di suscitare più di un mal di pancia a proposito del rapporto tra l’ultras e «le guardie». Non solo droga. Ma un disegno più ampio e una lotta per gli equilibri criminali della Capitale. È questa la nuova pista investigativa. E il contenuto dei telefoni appena sbloccati è l’asso nella manica degli inquirenti.