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Stato di emergenza, l'sos dei commercianti: se richiudono siamo morti

Damiana Verucci
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Se la proroga dello stato di emergenza non volesse dire oltre la metà dei dipendenti pubblici che continueranno a lavorare forse fino a fine anno in smart working, le associazioni dei vari settori produttivi della Capitale sarebbero anche d'accordo. Ma in questo modo no, con il lavoro a distanza così come è stato concepito fino ad oggi proprio non ci stanno e il coro, in questo senso, è unanime.

Dai costruttori ai commercianti fino agli albergatori, passando per la ristorazione e le attività artigianali; al solo sentire parlare di smart working si alza il tono della voce. “Un ulteriore prolungamento dello stato di emergenza sarebbe sicuramente la scelta migliore piuttosto che dover ricorrere in extremis a un nuovo lockdown, che metterebbe definitivamente in ginocchio l’economia italiana – dice Nicolò Rebecchini, presidente Ance-Acer Roma - Quello però che più ci preoccupa è il prolungamento dello smart working nella pubblica amministrazione: se gli uffici continueranno a non essere dotati dei mezzi sufficienti per lavorare da remoto e della opportuna formazione, la paralisi di alcune attività sarà totale. E una pubblica amministrazione efficiente sarà cruciale in una fase in cui la proroga dei protocolli sicurezza nelle aziende, con i conseguenti costi che ne derivano, sarà un altro costo interamente a carico dell’intero sistema produttivo, industriale, edilizio, professionale e commerciale”. Già.

Confesercenti ha calcolato che Roma e il suo tessuto produttivo stanno perdendo 130 milioni al mese per colpa del lavoro a distanza che fa stare a casa circa 450 mila occupati nella Capitale e rischia di questo passo di far chiudere almeno 6 mila imprese. Per i commercianti sarebbe, a dire poco, una caporetto. Tuona David Sermoneta, Presidente Confcommercio centro storico: “Dobbiamo tristemente prendere atto ancora una volta della lontananza ideologica dalle attività produttive di questo governo. Prolungare lo stato di emergenza, senza aiuti concreti, per molte aziende significherà la certezza della fine di una vita professionale costruita in anni di duro lavoro e sacrifici”.

La paura, per Sermoneta, è ripetere gli stessi errori dei mesi precedenti e quindi finanziamenti non mirati e soprattutto a pioggia senza considerare le singole realtà produttive e le conseguenti diverse difficoltà. Ad esempio per il turismo, tra i settori letteralmente in ginocchio. Tanto che il Presidente Federalberghi Roma, Giuseppe Roscioli, scuote la testa di fronte alla notizia del possibile prolungamento dello stato di emergenza e commenta: «Cambia poco». «Il problema è aiutare il settore – prosegue Roscioli - poi se c'è il distanziamento, se non c'è, se bisogna continuare a usare la mascherina per contenere una possibile seconda ondata ben venga. Ricordo solo che i turisti non ci sono e che perfino gli alberghi che avevano riaperto nelle scorse settimane richiuderanno sicuramente in autunno se continuiamo in questo modo e se le stime ci dicono che prima di un anno o due non si tornerà ai flussi prima Covid». E licenziare diventerebbe una conseguenza necessaria: «Tra i 50 e i 60 mila lavoratori del comparto rischiano di andare a casa - chiosa Roscioli – quando si parla di cassa integrazione, di smart working, bisogna poi prendere atto della realtà. Quegli aiuti, quella modalità di lavoro devono essere efficienti e raggiungere l'obiettivo che ci si propone altrimenti tanto vale tornare alla vita normale».

Preoccupato dell'inefficienza della pubblica amministrazione anche Luciano Sbraga, della Fipe Confcommercio: «Se lo stato di emergenza significa continuare ad applicare misure di sicurezza e di distanziamento va bene; non sappiamo se ci sarà una seconda ondata e di sicuro non possiamo rischiare un secondo lockdown che metterebbe ko in modo definitivo la nostra economia. Ma non si può immaginare che lo smart working possa continuare ad essere adottato da tutti allo stesso modo. Le regole e le modalità devono essere diverse e di sicuro va assicurata una funzionalità differente. Gli uffici pubblici, ad esempio, devono stare aperti tutti i giorni e non solo come accade in tanti casi una o due volte a settimana perché i dipendenti lavorano non in sede quando si sa che non tutto può essere svolto allo stesso modo se non si sta dietro ad una scrivania».

La proroga dello stato di emergenza va bene anche per Michelangelo Melchionno, Presidente Cna Roma, perché «consente di fornire aiuti per i settori più in difficoltà. Ma non va bene se permette ai dipendenti pubblici di restare a casa. In questi mesi ci sono state tante difficoltà legate proprio al fatto che gli imprenditori non riuscivano a portare a termine pratiche in genere di routine ma che con i dipendenti lontani dagli uffici sono diventate impossibili da svolgere e questo non dovrà ripetersi se si protrarrà questa fase di distanziamento sociale».

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