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Colpo agli Spada, il tesoro del clan di Ostia è nelle mani dello Stato

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Operazione della Guardia di finanza: sequestro di beni per oltre 18 milioni di euro

Andrea Ossino e Augusto Parboni
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È un colpo al cuore della mafia. È la Guardia di Finanza che completa la battaglia alle casse della famiglia Spada: 19 società, 2 ditte individuali, 6 associazioni sportive e culturali. Macchine, case, pasticcerie, forni, bar, sale slot, distributori di carburanti, palestre, scuole di danza, ditte edili e concessionarie di auto. Ammonta a 18 milioni di euro la confisca dei beni decisa dal Tribunale al termine del procedimento portato avanti dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Roma. L'operazione è stata chiamata “Apogeo”. Perché è il momento culminate, l'apice di un lavoro che gli uomini del Gico del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Capitale hanno realizzato in silenzio. E adesso il tesoro degli Spada è nelle mani dello Stato. Era la ricchezza accumulata dagli esponenti di spicco del clan del litorale romano: il capo Carmine Spada, conosciuto come Romoletto, Ottavio, Armando e Roberto Spada e Claudio Galatioto. Per approfondire leggi anche: Gambizzato a Ostia il cognato di Spada “E' palese che il sodalizio capeggiato dagli Spada rivesta indiscutibile stabilità e durevolezza stante l'ampio temporale del dispiegarsi delle sistematiche condotte di spoliazione, prepotere, violenza infiltrazione, intimidazione e presenti una solida organizzazione” aveva già scritto il Tribunale descrivendo il potere degli Spada e ricordando la “distribuzione dei ruoli e dei settori di competenza piuttosto definita, con la presenza anche di batterie e un'accurata copertura dei soggetti di vertice, che solo raramente intervengono sul campo”. Un'associazione che gode “dei legami con la mafia siciliana”. In cui si nota “il rispetto dovuto ai capi”. La paura che incutono. Il potere e la ricchezza. Ma adesso gli approfondimenti economico-patrimoniali svolti, che hanno preso le mosse dalle note operazioni di polizia “Eclissi” e “Sub Urbe”, hanno consentito di dimostrare l'incoerenza dei modesti redditi dichiarati dagli interessati con i rilevanti investimenti posti in essere in svariate attività commerciali, finanziati, in realtà, dai profitti delle numerose condotte delittuose commesse nel tempo, quali fatti di estorsione, usura e traffico di sostanze stupefacenti. A poco è servito intestare le imprese a compiacenti “prestanome”, apparentemente estranei al contesto criminale: gli accertamenti hanno infatti riguardato tutte le persone (circa 50 tra familiari e terzi) coinvolte nelle compravendite di quote societarie, effettuate fittiziamente al solo scopo di “schermare” la titolarità effettiva delle aziende. Milioni di euro capaci di infettare anche il tessuto economico dei numerosi imprenditori onesti che lavorano sul litorale romano.

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