caso regione lazio
Nessuno isola gli Zinga-boys
Quando il coronavirus ha toccato il paziente numero 1 (quello di Codogno) di noi italiani cittadini comuni per settimane è iniziata la caccia al paziente 0, quello che lo aveva contagiato. Subito è scattata una sorta di retata di chiunque avesse detto nei quindici giorni precedenti anche solo «Buonasera» al poveretto. Sono stati fatti centinaia di tamponi, chi risultava positivo è stato messo in quarantena e se necessitato, curato. A chi era negativo al tampone ma aveva avuto rapporti con lui è stato imposto l'isolamento per almeno 15 giorni sotto controllo sanitario, ripetendo successivamente il tampone. Per approfondire leggi anche: Il paziente Zingaretti ha girato mezza Italia Sabato si è scoperto il paziente n. 1 della politica: Nicola Zingaretti, segretario del Pd e governatore del Lazio. Ha il coronavirus, anche se al momento ha sintomi lievi. Gli auguriamo ovviamente di superare il prima possibile la malattia senza sofferenze particolari. Ma non possiamo non notare che quando ad essere colpita è stato un cittadino molto speciale, non è scattato nulla di paragonabile a quello che avvenne a Codogno. I suoi collaboratori, chi lavorava con lui al partito democratico, i suoi assessori in Regione Lazio, tutte le persone che lo hanno incontrato nelle ultime due settimane non sono state affatto inseguite e controllate. Ognuno ha fatto secondo la sua coscienza. Così all’interno della segreteria del Pd si sono auto-isolati Andrea Orlando e Anna Ascani, perché hanno ritenuto di farlo. Qualcun altro - pochi - lo hanno seguito, annunciando cose un po’ strampalate (tipo «qualche giorno sto a casa»). Nel suo staff qualcuno sarà stato controllato, ma non sappiamo bene. In Regione era meno necessario forse perché da quelle parti Zingaretti era ormai un personaggio centrale delle puntate della trasmissione Rai, «Chi l’ha visto?». Non a caso la sua segretaria al Nazareno è risultata contagiata (auguri anche a lei), quella in Regione al momento no. Dallo staff di Zingaretti nelle ore successive all’annuncio si è detto che sarebbero stati controllati solo gli incontri avuti per più di mezz’ora a distanza ravvicinata nelle ultime 48 ore dal segretario del Pd. Cosa questa che non ha alcun fondamento scientifico, ed è assai distante da tutto quel che ci dicono virologi e autorità sanitarie dall’inizio di febbraio. Tanto è che 72 ore prima - il 4 marzo - si era tenuto a palazzo Chigi un tavolo governo-parti sociali-enti locali sulle misure economiche da adottare sul coronavirus. A quel tavolo c’era Zingaretti, con alla sua destra il governatore della Liguria, Giovanni Toti e alla sua sinistra quello della Sicilia, Nello Musumeci. Quest’ultimo sabato ha deciso di mettersi in isolamento anche se sta bene. E ha fatto bene, perché se a destra aveva Zingaretti alla sua sinistra c’era il governatore del Piemonte, Alberto Cirio, che ieri ha annunciato di essere positivo al virus. Però a quella riunione c’erano anche tanti altri, dal premier Giuseppe Conte, al presidente dell’Anci, ai leader della triplice sindacale, fino a un nutrito gruppo di ministri. Fra questi uno - Giuseppe Provenzano- era seduto a fianco di Cirio. Salvo Musumeci e i due contagiati nessun altro ha scelto volontariamente o ha subito l’imposizione dell’isolamento. Poche ore prima dell’annuncio della sua malattia Zingaretti ha tenuto una conferenza stampa proprio sul coronavirus. Al suo fianco in alcuni momenti anche a meno di un metro di distanza c’era l’assessore alla Sanità della Regione, Alessio D’Amato che ha visto più volte nelle ultime settimane. L’assessore sabato mattina ha annunciato di avere fatto il tampone e di essere risultato negativo, quindi ha continuato la sua vita normale partecipando a una raffica di riunioni. Nemmeno in coscienza ha sentito il dovere di porsi in auto-isolamento ripetendo il tampone a distanza di qualche giorno ed evitando ogni contatto con gli altri come è invece richiesto (e in molti casi imposto) ai cittadini normali. D’Amato ha la responsabilità delle direttive sanitarie sulla Regione Lazio, e quindi avrebbe un motivo in più di seguire alla lettera le indicazioni che sono state date a tutti gli altri comuni cittadini ma da cui si esenta. Passa il tempo invece a commentare foto di ragazzi romani che sabato sera erano comunque in tanti a Ponte Milvio per dire che così non si fa. Vero, ma se lui che dovrebbe dare l’esempio non lo fa, perché mai dovrebbero seguirlo gli altri? Lo stesso dicasi degli altri potenti, premier, ministri, dirigenti politici, sindaci, assessori, sindacalisti etc etc che hanno avuto contatti ravvicinati con Zingaretti e circolano liberamente anche in salute in queste ore, fregandosene di potere essere portatori sani in grado di contagiare gli altri. Si sono dati da soli l’immunità al virus, e non posso che augurarmi sia davvero così se non per loro per i poveracci che continuano a doverli incontrare. Ma certo diventa difficile con questi esempi andare poi a tirare i capelli a cittadini che non comprendono a fondo l’allarme sul coronavirus e non si barricano affatto in casa. C’è anche un altro punto da chiarire sul caso Zingaretti: chi l’ha contagiato? Non per farci gli affari altrui, perché da quel che sappiamo ora potrebbe anche essere stata la sua segretaria al partito o altri stretti collaboratori meno noti che siano positivi al virus anche se non lo sappiamo. Ma siccome una risposta è stata tentata anche per spiegare il motivo del tampone effettuato al segretario del Pd, ed è la sua costante presenza in queste settimane allo Spallanzani di Roma, questa ipotetica versione ci preoccupa di più. Certo che il virus è presente nell’ospedale in prima linea del fronte in questa battaglia. Ma avrei pensato che proprio lì dentro i protocolli anti-contagio sarebbero stati seguiti radicalmente, alla lettera e non sarebbe stato fatto uno sconto a nessuno, per quanto potente fosse. Mi augurerei da cittadino che l’ultimo posto in cui Zingaretti possa essere stato contagiato fosse proprio lo Spallanzani e che la versione circolata sia del tutto priva di fondamento.