tutto da rifare
Giustizia per Marco Vannini: il processo andrà rifatto
Necessario un nuovo processo d’appello per fare chiarezza sulla morte di Marco Vannini, che nella serata del 17 maggio 2015, ad appena 20 anni, fu ucciso da un colpo di pistola mentre era a casa della fidanzata Martina Ciontoli, a Ladispoli. A sparare quel colpo fu, secondo quanto appurato sinora, il padre di Martina, Antonio Ciontoli, che ora dovrà affrontare, come stabilito ieri sera dalla Cassazione, un nuovo procedimento con un’accusa più grave, cioè omicidio volontario, rispetto a quella di omicidio colposo – causato cioè per negligenza – che aveva portato a fine gennaio 2019 alla sua condanna in secondo grado a 5 anni di reclusione, mentre in primo grado gli erano stati inflitti 14 anni di reclusione per omicidio volontario. Sul banco degli imputati finiranno nuovamente anche i familiari di Ciontoli, cioè la figlia Martina, il figlio Federico e la moglie Maria Pezzillo, tutti e tre condannati in secondo grado a due anni di reclusione. I giudici della prima sezione penale della Cassazione hanno accolto i ricorsi proposti dalla procura e dai genitori di Marco, la mamma Marina Conte e il papà Valerio Vannini, ricorsi che hanno chiesto di riconoscere a carico di Antonio Ciontoli e dei suoi familiari la responsabilità piena per una morte da ritenere non accidentale ma frutto di un omicidio volontario. Nessun dubbio per i giudici della Cassazione sulla responsabilità del capofamiglia dei Ciontoli, il cui ricorso mirato a contestare il riconoscimento dell’aggravante rappresentata dalla previsione dell’evento morte e l’eccessività della pena stabilita in appello è stato respinto. Scossa e con le lacrime agli occhi mamma Marina all’uscita dall’aula dopo la decisione: «Non ci speravo, e ora non ci posso ancora credere. Finalmente Marco ha riconquistato il rispetto. Non si può morire a 20 anni», ha detto con un filo di voce, sostenuta dai familiari. A dare speranza a mamma Marina e a papà Valerio aveva provveduto, ieri mattina, il procuratore generale della Cassazione, Elisabetta Ceniccola, che, rivolgendosi ai magistrati, aveva chiesto un nuovo processo d’appello per Antonio Ciontoli e per i suoi familiari, spiegando che «quello di Marco Vannini fu omicidio volontario». Nette le parole utilizzate da Ceniccola: «Si tratta di una vicenda gravissima per la condotta degli imputati e addirittura disumana considerati i rapporti con la vittima», ha detto, per poi aggiungere che «Marco Vannini non è morto per il colpo di pistola ma per i 110 minuti di ritardo nell’allertare i soccorsi. Tutti hanno mantenuto una condotta omissiva, menzognera e reticente, mentre la gravità della situazione era sotto i loro occhi». Duro anche l’avvocato Franco Coppi, legale della famiglia Vannini: «Antonio Ciontoli ha seguito l’agonia di Marco, pensando solo a salvare il suo posto di lavoro, perché la morte di Marco ha portato via l’unico testimone di quello che è successo nella casa dei Ciontoli a Ladispoli. Eppure Marco si sarebbe salvato se solo lo avessero soccorso», ha concluso amaramente Coppi.