l'inchiesta di gratteri
Ecco i negozi nel salotto di Roma in cui la 'ndrangheta riciclava
I soldi delle cosche di ’ndrangheta di Vibo Valentia - sgominate nella maxi operazione «Rinascita Scott» - venivano riciclati nei negozi di abbigliamento del centro storico di Roma, da via della Scrofa a via dei Coronari, fino all’ambizioso progetto di acquisto del parco commerciale di Castel Romano. È quanto emerge nelle 10.210 pagine della richiesta di misure cautelari firmata dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri e da quattro sostituti della Dda, che il 19 dicembre scorso ha portato i carabinieri del Ros ad arrestare in Italia e all’estero 334 persone (260 in carcere, 70 ai domiciliari e 4 divieti di dimora), accusate a vario titolo di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio e altri reati aggravati dalle modalità mafiose. Tra i 416 indagati ci sono anche politici, avvocati, commercialisti, funzionari dello Stato e massoni, come l’ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli (chiamato «grande capo). «Numericamente è la seconda operazione dopo il primo maxi processo di Palermo di Falcone e Borsellino», aveva commentato "a caldo" Gratteri. Saverio Razionale, «esponente apicale del direttorio criminale dell’intera area del vibonese», che operava «in diretto e stretto rapporto con boss del calibro di Luigi Mancuso e Giuseppe Antonio Accoriniti», aveva capito quale fosse la migliore strategia per riciclare denaro sporco senza rischiare troppo. «Puoi prendere milioni di euro ma rischi di farti arrestare - spiega Razionale in un’intercettazione agli atti dell’inchiesta - Ci dobbiamo mettere giacca e cravatta. Noi dobbiamo essere gente di finanziaria». E per farlo, il boss della cosca Fiarè-Razionale-Gasparro di San Gregorio d’Ippona aveva messo in piedi un «progetto industriale studiato e condiviso» con l’imprenditore Antonino Delfino e «sotto la guida amministrativa e fiscale di Elisabetta Lo Iacono, commercialista e compagna di Delfino». A marzo 2016 Saverio Razionale (in quel momento sorvegliato speciale, con obbligo di soggiorno a Roma) avrebbe trasferito la somma di 500 mila euro, «derivante dalle attività illecite della cosca», nel circuito di 15 società raggruppate nella Mater Holding, di cui era «proprietario occulto e co-amministratore di fatto», ma la cui titolarità aveva «attribuito in modo fittizio ad Antonino Delfino», «al fine di agevolare l'attività dell’associazione di tipo mafioso denominata 'ndrangheta». «La società maggiormente operativa - si legge nella richiesta di arresto del procuratore Gratteri - era la Pdp Fashion srl, attiva nel settore "abbigliamento e accessori" dal 2014 al 2017 con la creazione di punti vendita in location prestigiose quanto remunerative, sia a Roma, al centro e in noti centri commerciali, che a Vibo Valentia». I negozi con sede nel cuore della Capitale sono in via D’Ascanio, in via Mario de’ Fiori (zona piazza di Spagna), in via della Scrofa, via dei Coronari e via dei Prefetti (per questi ultimi tre l’attività è poi cessata). Più periferico il negozio di piazza Tuscolo, il punto vendita all’interno dell’Hotel Caravel (4 stelle in via Cristoforo Colombo, tra i quartieri Garbatella ed Eur), quello di 69 metri quadrati all’interno del centro commerciale «I Granai» (zona Grotta Perfetta) e quello nel noto outlet di Castel Romano. «Se fanno indagine prendono tutto», commentava Razionale, «consapevole delle loro condotte illecite». Effettivamente la Dda di Catanzaro, insieme alle misure cautelari personali, ha chiesto il sequestro delle 15 società del gruppo cosiddetto Delfino. In un’intercettazione di dicembre 2016 all’interno del gazebo dell’Hotel Crowne Plaza di via Aurelia Antica, al quale gli indagati vendevano le loro calzature, Razionale spiega: «Di tutti i soldi che ho gestito con lui (Delfino, ndr), a lui gli sono entrati, avanti e indietro si è pagato i capannoni». Il riferimento è ai capannoni di un calzaturificio di Pomezia. «Vedi che in un anno abbiamo speso, tra capannoni e casa, un milione e sette - precisa Delfino - Gli investimenti li abbiamo fatti... se domani mattina decidiamo sia io che lui che ci siamo rotti i co... con le scarpe, chiudiamo, fittiamo tutto e prendiamo 15 mila euro al mese». Ma le mira affaristiche degli indagati non finiscono qui. Tra il 14 e il 23 gennaio 2017 i carabinieri del Ros hanno captato conversazioni che delineano «l’intenzione di Delfino, attraverso l’uso di prestanomi, di costituire due nuove società in collaborazione con Lo Iacono e Razionale, con il finanziamento da reperire presso il gruppo bancario Unicredit, dove sembrava avere entrature che lo avrebbero aiutato ad ottenere l’importante somma di circa 55 milioni di euro per rilevare la gestione del parco commerciale “Castel Romano Shopping Village” di Roma, con la formula del leasing immobiliare e la possibilità di acquisto della struttura a fine periodo». L’imprenditore aveva contattato l’utenza intestata ad Angiolo Crivellari, chiamandolo scherzosamente «il numero uno di Unicredit», per prospettargli il progetto di investimento. Ma quest’ultimo (non indagato e fratello dell’ex ad di Unicredit Credit Management Bank) gli aveva risposto di essere in quel momento «occupato in un’operazione da 293 milioni di euro inerente la centrale elettrica di Montalto di Castro, operazione per la quale aveva pensato anche a Delfino come investitore»