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Inchiesta Diabolik, gli attriti con gli albanesi. E la banda tratta coi narcos colombiani: le intercettazioni

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Informativa sull'indagine Grande Raccordo Criminale

Andrea Ossino e Augusto Parboni
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“Ci sono sti albanesi pezzi di me..a cornuti che sono… magari muoiono tutti…”. Nella “batteria” di ponte Milvio ci sono sempre state due anime. La prima, prettamente romana, è stata capeggiata da Fabrizio Piscitelli, il leader degli Irriducibili della Lazio Diabolik cresciuto grazie all'appoggio della famiglia Senese, come rivelano i pentiti già nel 2000, e ucciso il 7 agosto scorso al Parco degli Acquedotti. Della seconda invece fanno parte “gli albanesi”. I due gruppi si rispettano e fanno affari insieme. Ma i romani non vedono di buon occhio gli albanesi. Non solo quelli del loro gruppo, ma anche gli altri trafficanti che “organizzandosi autonomamente e applicando dei ricarichi minimi causano il calo del prezzo della droga sul mercato capitolino”. La vicenda emerge dall'informativa che i finanzieri del Gico consegnano il 12 luglio scorso al sostituto procuratore Nadia Plastina, il magistrato titolare dell'inchiesta "Grande Raccordo Criminale", quella che giovedì scorso ha portato all'arresto di 51 persone che gravitavano intorno alla banda dedita allo spaccio e al recupero crediti. Per approfondire leggi anche: Grande Raccordo Criminale, così Diabolik riempiva Roma di droga Il 15 maggio, alle 11,42, le intercettazioni ambientali catturano una conversazione tra Fabrizio Fabietti, il broker della droga divenuto braccio destro di Diabolik, e Leopoldo Costantino. Non è una chiacchierata tra amici. Leopoldo infatti è il fratello di Emanuele Costantino, arrestato nel marzo scorso a Saarbrücken, in Germania, dopo una lunga latitanza. Emanuele era ricercato dal 2013 dopo essere stato condannato a scontare 7 anni di carcere per associazione mafiosa ed estorsione. Per i pm è diventato un elemento di spicco del clan Gallico di Palmi, nel reggino, quando il cognato Domenico Nasso è stato arrestato. È in carcere, nella Capitale. E Fabietti chiede infatti a Leopoldo: “Tuo fratello come sta a Rebibbia?, A Leopoldo Cosentino non interessano i convenevoli. Quell'incontro è stato organizzato perché i 12 chili di cocaina marchiati con lo stemma dello “scorpione” sono di pessima qualità: “quando la metti sopra al cucchiaio puzza di plastica…non si vende..”. E ancora: “non è roba è mischio”. Bisogna dirlo al contatto in Colombia. “Il colombiano dice ‘porque tu ermanno non…el scorpione”, annotano i finanzieri. Fabietti taglia corto: “Tu gli devi dire i soldi non te li diamo perché questa è una truffa”. Quello della droga è un mondo in cui non ci si può fidare di nessuno. E Fabietti si lamenta anche “per la presenza di trafficanti albanesi i quali organizzandosi autonomamente e applicando dei ricarichi minimi causano il calo del prezzo della droga sul mercato capitolino”. Le sue parole sono eloquenti: “Ci sono sti albanesi pezzi di merda cornuti che sono…magari muoiono tutti…vengono, lo fanno per mezzo punto (500 euro di guadagno al chilo ndr)..la vanno a prendere loro fuori, se la portano loro, capito come fanno”, dice a Cosentino. Ricorda i bei vecchi tempi: “Una volta ci stavate voi era tutto a posto, venivi, sapevate che…mica eravate stupidi, facevate il prezzo buono e si guadagnava…questi vogliono guadagnare solo loro…gli vendono il pacco agli amici tuoi, fanno tutto loro, non hanno rispetto di nessuno”. Bisogna trovare altre strade, altri carichi. “Fabietti – si legge negli atti - confidava a Cosentino di poter organizzare un'importazione di cocaina dalla città di Medellin (Colombia)” e chiedeva all'interlocutore la disponibilità di contatti. “Certo che ce l'ho”, dice Cosentino. E Fabietti: “Io ho un milione di euro fermo là”. Affare fatto. Cosentino chiosa: “Io lo posso fare…devo fare solo una caricatina sugli aerei” per poi farlo giungere in Italia attraverso il Belgio”.

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