l'americano che uccise il carabiniere
L'offesa del killer di Cerciello
Crolla definitivamente l’ultima delle tante bugie raccontate dai due ragazzi americani per i quali la Procura di Roma ha chiesto il giudizio immediato per il concorso nell’omicidio del vice brigadiere Mario Cerciello Rega, assassinato la notte tra il 25 e il 26 luglio scorso in via Pietro Cossa, nel quartiere Prati, mentre era in servizio con il collega Andrea Varriale. Anche Finnegan Elder Lee - il 20enne che ha materialmente sferrato le 11 coltellate - sapeva, al pari del suo amico Gabriel Christian Natale Hjorth, che quello che aveva davanti era un carabiniere. Nell’interrogatorio col pm, subito dopo il fermo, aveva precisato: «Mentre si avvicinavano a noi, parlavano tra di loro in italiano senza affermare che fossero poliziotti. (...) Pensavo fossero stati mandati da Sergio per recuperare lo zaino e che avessero cattive intenzioni (...) Se avessi saputo che si trattava di un poliziotto mi sarei fermato, non l’avrei fatto. In America quando un poliziotto di ferma, la prima cosa che fa è esibire il tesserino». «CI HANNO FATTO VEDERE I DISTINTIVI» Ma la verità è che anche Cerciello e Varriale avevano esibito il tesserino dell’Arma. Lo conferma proprio Elder, il 2 agosto, mentre al Regina Coeli - non sapendo di essere intercettato - parla con suo padre e l’amico Micheal Craig Peters, venuto dagli Usa per fargli da consulente legale (pur non avendo il mandato difensivo). «Quando ci hanno fatto vedere velocemente i distintivi (in inglese: “flashed the cards or whatever”)...», ricorda il 20enne, subito interrotto da Craig che, bisbigliando, gli suggerisce: «Rimani calmo, attieniti alla tua dichiarazione, ripassala punto per punto, ricordatela. Non ci deve preoccupare la tua dichiarazione... durante l’interrogatorio... questo non lo puoi dire. È successo e basta». «Tu non hai visto niente», taglia corto il legale, facendo riferimento proprio ai tesserini dei carabinieri. «HO VISTO DUE SBIRRI» Ma nel prosieguo della conversazione, raccontando la dinamica di quella notte, Finnegan ribadisce di aver capito che Cerciello e Varriale erano due esponenti delle forze dell’ordine. «Ho visto due sbirri ("I saw two cops", in lingua originale, ndr). Uno di cui più basso. Erano rivolti nella direzione opposta. Sono venuti dietro a noi, alle nostre spalle. E la macchina militare (letteralmente "tank", in inglese) era qui». In effetti, dalle telecamere di sorveglianza del bar «Kiarotti Wine», in via Gioacchino Belli, di fronte all’ingresso dell’hotel «Le Meridien Visconti» (dove alloggiavano i due amici), si vedono gli americani nascondersi tra le auto parcheggiate, quando arriva la Fiat Punto sulla quale viaggiavano Cerciello, Varriale e Sergio Brugiatelli, il mediatore dei pusher a cui i due ragazzi avevano rubato lo zaino. «Ciò induce a ritenere - si legge nell’informativa dei carabinieri di via In Selci - che sia stato proprio Natale Hjorth a riconoscere la vettura civetta dei militari, per poi segnalarla a Elder. Al riguardo, non si esclude che la stessa auto sia stata vista dai due indagati in occasione dell’arrivo della pattuglia nei pressi di piazza Mastai», a Trastevere - nella fase precedente all’aggressione a Prati - quando Natale si era ritrovato con una compressa di tachipirina tra le mani, invece che una dose di cocaina. Probabilmente, infatti, dopo essere fuggiti con lo zaino di Brugiatelli, i due turisti di San Francisco erano rimasti nei paraggi. Lo dimostra il fatto che, quando Cerciello e Varriale arrivano a piazza Mastai, le celle dei cellulari dei due indagati continuano ad agganciare «ponti radio base» in quell’area. Inoltre, «essendo l’autovettura utilizzata dai due militari sprovvista di colori di istituto, nel momento in cui transita in zona Prati, poteva essere riconosciuta dai due statunitensi solo per il fatto di essere stata da loro già notata in zona Trastevere», è la conclusione a cui giungono gli inquirenti. «CON LA CORTE GIOCHEREMO SULLE EMOZIONI» Tornando al dialogo intercettato in carcere il 3 agosto scorso, l’avvocato Craig spiega ad Elder la differenza tra la procedura penale adottata in America («prima c’è l’arresto, poi si fa il capo d’imputazione, le dichiarazioni scritte») e quella italiana. «Qui non è così. Qui può durare anche un anno l’iter giudiziario. Rischi 8 anni. Qui funziona cosi: ti interrogheranno di persona. Il pm utilizzerà le prove contro di te per costruire l’accusa. Quindi devi essere preparato per cosa possa dire (...) Il pm utilizzerà videoriprese, il protocollo d’autopsia, le dichiarazioni fornite dai testimoni e così via. Quindi l’obiettivo è di cercare di ridurre l’importanza di queste prove... Due ragazzi che vengono attaccati e assaliti da due uomini, questi agenti di polizia, ragazzetti che si devono difendere contro degli adulti. Che vengono attaccati… e non appena vedono che uno dei due è caduto a terra, scappano via. È questa l’immagine che vogliamo dare, la nostra linea di difesa. Il nostro scopo è di cercare di vincere la simpatia della Corte, giocare sulle emozioni. È la nostra unica possibilità di difesa». «Spero che così il processo, che solitamente è lungo, durerà di meno. È un rischio, ma deve essere il nostro obiettivo. Dobbiamo vedere se i giudici siano disposti a misure più lievi, all’arresto domiciliare, cose del genere, o firmare un ordine di estradizione per farti portare in patria. Anche se negli Stati Uniti, la pena sarebbe più lunga, ovviamente», ammette il legale. «I CARABINIERI ERANO DEFICIENTI» Il legale americano chiede poi a Finnegan come vive il carcere. Il 20enne spiega: «Mi hanno dato una stanza speciale. Giù nel corridoio ci sono le docce, c’è la televisione... C’è di tutto, sono circondato da cose (Craig ride). Ma sono stanco… così stanco. Voglio tornare negli Stati Uniti. Mi pare di impazzire in carcere. Sono così stufo di sentire parlare in italiano tutto il giorno (fa un rumore di ronzio con la bocca). Mi fa venire la nausea sentirli». E poi aggiunge: «Vorrei dei tappi per le orecchie». Il padre lo rassicura: «Abbiamo speso un certo importo, qualche migliaio di dollari. Dobbiamo inviare una lettera al Presidente (forse Donald Trump, ndr) a nome di Finnegan Elder». Il 2 agosto viene intercettato in carcere anche Gabriel Natale Hjorth, mentre parla con il padre e lo zio: «Devono pure capire - spiega il 19enne - che pure i carabinieri erano deficienti... solo che non li hanno...». Il padre lo interrompe subito: «Non dobbiamo usare parolacce».