il delitto della caffarella
Luca, lo strazio di un padre: "Fate giustizia"
“Dovete comprendere la mia difficoltà, mia moglie è devastata e anche io”. All’Appia Park Hotel, nella sala “Velarium”, gremita di giornalisti, Alfonso Sacchi fa sentire la sua voce per ricordare che suo figlio “era stupendo, pieno di voglia di vivere, con la passione per lo sport, per il calcio, la palestra, le moto”. Giacca nera, occhi lucidi, volto provato dalla tragedia che ha colpito la sua famiglia mercoledì scorso, quando Luca Sacchi è stato ucciso da Valerio Del Grosso e Paolo Pirino. Papà Alfonso beve dell’acqua, cerca il coraggio, piange, si ferma. Le parole sono bloccate in gola, prova a tirarle fuori ma è difficile. Al suo fianco ci sono gli avvocati Armida Decina e Paolo Salici: “Non abbiamo mai detto che è immorale difendere Anastasia - esordiscono - Quando si parla di Anastasiya occorre camminare con i piedi di piombo. Negli atti ufficiali delle autorità è persona offesa”. “Volevamo dire - continuano i penalisti - che è errato accostare la famiglia Sacchi alla droga. Non c’entra niente”. “Vedeva il mondo buono, io gli dicevo di non fidarsi del mondo - dice Alfonso Sacchi - bastava guardarlo in viso per capire chi era”. Sull’accaduto non sa cosa dire: “Anastasiya, gli chiesi se le voleva bene, Luca diceva di sì, e la abbiamo accolta in casa, come una figlia”. Forse, continua, “si fidava troppo della gente”. “Mio figlio era sicuramente all’oscuro di tutto questo (dello scambio di droga ndr) abbiamo un lavoro, non abbiamo problemi di soldi”, spiega prendendo fiato. “Tutti i suoi amici sembravano bravi ragazzi, gli amici veri non erano molti”, risponde a chi gli chiede dei suoi amici, in particolare di Giovanni P.: “Questo ragazzo lo frequentava da poco, si erano conosciuti al liceo, al classico, tipo sei mesi fa si sono incontrati casualmente”. E sulla sera del delitto ricorda: “Io esco alle 19 per andare al ristorante e lui mi disse: ‘papà mi devi fare un’altra puntura’ perché si era fatto male alla schiena. Grazie papà non ho sentito niente questa volta. Gli ho dato un bacio e mi ha chiesto perché. Ho risposto: perché ti voglio bene”. Papà Alfonso scoppia a piangere, abbraccia l’avvocato, singhiozza: “Non ho più visto mio figlio, non lo vedrò più, quella è l’ultima immagine che ho di lui”. Fioccano le domande, fanno male, ma i legali e il padre di Luca Sacchi rispondono: “Non sentiamo Anastasia da sabato, quando eravamo in ospedale le ho detto :’Anastasia se vuoi la camera è tua’ - ricorda Alfonso Sacchi - che altro deve dire un genitore?”. Si ferma, piange, singhiozza: “Dolore, tanto dolore”. Poi un pensiero al figlio più piccolo: “Adesso lui è il nostro più grande pensiero, avevamo detto a Luca di dargli un occhio”. E sui due ragazzi arrestati, in relazione alle loro esternazioni (“Non volevamo uccidere”), dice: “Se non vuoi far male non vai in giro con una mazza è una pistola. Chiedo solo giustizia per mio figlio Luca”.