Il caso Diabolik
Il sicario di Piscitelli è fuggito col complice in sella a un Liberty
Il sicario che ha ucciso Fabrizio Piscitelli è fuggito in sella a uno scooter Liberty guidato da un altro complice. È questo il nuovo importante indizio a disposizione degli inquirenti che indagano sull’omicidio di Diabolik, aggravato dal metodo mafioso. L’immagine del motorino è stata catturata dalle telecamere di sorveglianza disseminate nei dintorni di via Lemonia 273, dove l’ex leader degli Irriducibili è stato freddato alle 18,50 del 7 agosto scorso con un colpo di pistola. La vittima, in quel momento, era seduta su una panchina del parco degli Acquedotti insieme al cubano che gli faceva da autista, in attesa della persona con cui aveva fissato un appuntamento dieci minuti dopo. Gli agenti della Squadra Mobile stanno cercando in ogni angolo della città e delle campagne nei dintorni di Roma il Liberty immortalato dalle videocamere. I due complici potrebbero averlo dato alle fiamme per nascondere le loro tracce. Contemporaneamente, al vaglio degli investigatori, ci sono tutte le denunce per furto, relative a scooter di quella marca, raccolte nei giorni precedenti all’omicidio di Piscitelli. È questa, infatti, una delle piste che si sta cercando di percorrere per risalire agli autori del delitto. Le telecamere li inquadrano mentre scappano sul mezzo due ruote. Ma le loro facce, purtroppo, non si vedono. I pm della Dda capitolina sono ormai certi che l’uomo vestito da runner, che ha sparato all’ultrà della Lazio, sia un killer specializzato: un sicario assoldato da un mandante ancora sconosciuto. Lo dimostrano la freddezza e la precisione con le quali ha ucciso il leader degli Irriducibili. Si è avvicinato correndo alla panchina sulla cui era seduto Piscitelli. Aveva il volto parzialmente travisato, con una bandana sui capelli e un paio di occhiali da sole. Ha puntato la pistola dietro l'orecchio di Diabolik, a distanza ravvicinata, e ha fatto fuoco. Un colpo solo. Il tutto senza mai interrompere la corsa. Poi è fuggito nella direzione opposta da quella da cui proveniva, raggiungendo il complice che lo attendeva a bordo del motorino. Gli investigatori ipotizzano che, nascosto nel parco, ci potesse essere un terzo uomo: un «palo» confuso tra chi faceva jogging e chi portava a spasso il proprio cane, pronto ad avvisare il sicario dell'arrivo di Piscitelli. Lo si può dedurre dal fatto che la vittima e il suo autista erano in anticipo di circa un quarto d'ora rispetto all’appuntamento, e immediatamente dopo, alle 18,50, il killer è spuntato alle loro spalle (senza che nessuno dei due se ne accorgesse o avesse il tempo di reagire e ha sparato il 53enne. L'ex leader della curva nord pare non temesse la persona a cui aveva dato appuntamento e - allo stesso tempo - ha dimostrato di avere grande fiducia nel cubano che da appena una settimana gli faceva da autista, tanto da non farlo restare in macchina in attesa della fine dell'incontro. Quindi, a rigor di logica, si deve dedurre che l'uomo con cui Piscitelli doveva incontrarsi lo abbia «venduto» al «commando» che lo ha giustiziato. Al momento, per chi indaga, la pista più accreditata sembra essere quella della mafia albanese. Probabilmente Diabolik - che era coinvolto in un traffico di stupefacenti - potrebbe aver approfittato del «vuoto di potere» che si era creato in quella zona, al Tuscolano, dopo gli arresti dei Casamonica. Questo suo «colpo di mano» forse non è stato gradito dalla «concorrenza». Intanto la Procura di Brescia sta indagando per omicidio in relazione alla morte di Maurizio Terminali, l’estremista di destra conosciuto nell’ambiente criminale come «il Nero». Fabio Gaudenzi si è fatto arrestare perché - come ha spiegato ai pm della Dda capitolina - sostiene che, dopo l’uccisione di Maurizio Terminali e di Fabrizio Piscitelli, il prossimo a morire sarebbe stato lui. Per verificare se ci sia un fondo di verità nelle sue parole, o se si tratti di mere congetture, i pm bresciani hanno quindi deciso di riqualificare l’ipotesi di reato del fascicolo che si apprestavano ad archiviare come un decesso da overdose di metadone. Gli inquirenti lombardi hanno acquisito le dichiarazioni di Rommel, il pregiudicato che lo scorso 2 settembre è stato arrestato a Roma dopo aver sparato alcuni colpi in casa e aver postato un video su Youtube in cui affermava di volersi costituire rivelando, tra l’altro, i nomi di chi aveva freddato il leader degli Irriducibili della Lazio. Poi, nell’interrogatorio in carcere, Gaudenzi aveva parlato anche della morte di Terminali, scomparso a Brescia appena un mese prima di Diabolik. Secondo Rommel, l’amico è stato ucciso mentre si trovava ospite di un conoscente. Non crede che possa aver sbagliato la dose di metadone. E ora chi indaga vuole vederci chiaro, per capire se l’overdose sia stata «indotta». Terminali aveva diritto ad avere quel farmaco. E lo avrebbe dovuto assumere in forma liquida, come uno sciroppo. Invece, si sarebbe iniettato il medicinale nelle vene. Un fatto insolito. Si tratta infatti di un oppioide sintetico, usato in medicina come analgesico nelle cure palliative per ridurre l'assuefazione nella terapia sostitutiva della dipendenza da stupefacenti. Contiene anche zuccheri e aromi, utilizzati per renderne il sapore più piacevole. Ciò rende l’iniezione molto pericolosa, dolorosa e irritante per le vene, che possono essere danneggiate. E questo il Nero avrebbe dovuto saperlo. Terminali non era uno sprovveduto in campo di droghe. I suoi precedenti non parlano solo di «furto aggravato, violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale, ricettazione, evasione e rapina», come recitano gli atti acquisiti al processo Mafia Capitale, ma anche di «reati inerenti le sostanze stupefacenti». Ed è per questo che Gaudenzi non crede alla storia dell’overdose. Ritiene piuttosto che qualcuno lo abbia indotto a quell’iperdosaggio. Perché Terminali, secondo Rommel, era al corrente di una verità scottante che gli avrebbe rivelato prima di morire, proprio come Diabolik. In altre occasioni il Nero aveva confidato le sue paure all’amico, perché «chi gira con Gaudenzi è intoccabile», diceva cinque anni fa. Se la tesi sull’uccisione di Terminali dovesse essere confermata dai pm di Brescia, i colleghi di Roma si troverebbero costretti a rivalutare l’attendibilità delle sue rivelazioni.