Nel "Mondo di mezzo" tutta la verità su Diabolik
I pm a caccia dei legami tra Piscitelli, Terminali e Gaudenzi. "Rommel" ha ripercorso l'indagine che ha portato alla condanna di Carminati
Per scoprire chi ha ucciso il leader degli Irriducibili della Lazio, Fabrizio Piscitelli, bisogna tornare a 5 anni fa, quando la Procura di Roma diede il via all'operazione «Mondo di Mezzo». È questa la strada indicata agli inquirenti da Fabio Gaudenzi, il pregiudicato che lo scorso 2 settembre è stato arrestato dopo aver sparato alcuni colpi in casa e aver postato un video su Youtube in cui affermava di volersi costituire rivelando, tra l'altro, i nomi di chi aveva ucciso Diabolik. Gaudenzi, conosciuto come «Rommel», ai pm ha raccontato le vicende già narrate dopo gli arresti del 2014. Ha parlato del commercio di oro con l'Africa e ha detto di avere il timore di essere ucciso come Piscitelli e un altro amico, Maurizio Terminali: «Il Nero», scomparso un mese prima del capo ultrà. Diabolik, il Nero e Rommel: tutti sarebbero a conoscenza di una scomoda verità. IL NERO Il nome di Terminali, secondo gli inquirenti morto «per cause naturali», appare negli atti di Mafia Capitale. I contatti con Gaudenzi erano frequenti. Rommel lo aveva chiamato, ad esempio, all'ora di pranzo del 16 aprile 2016: «Chiedeva se fosse in forma in quanto avrebbe avuto bisogno di lui per la mattina seguente», annotano gli investigatori. «Mi devi accompagnare...come l'altra volta», recita la criptica intercettazione. Chiamate che incuriosiscono i carabinieri. Quindi leggono i precedenti di polizia: «furto aggravato, violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale, ricettazione, reati inerenti le sostanze stupefacenti, evasione, rapina». Non un chierichetto. Così i militari studiano il suo profilo scoprendo che il 29 novembre del 2010 era stato arrestato per detenzione di sostanza stupefacente. Le conversazioni tra il Nero e Rommel rivelano che il primo si rivolgeva al secondo quando aveva paura. Il 24 settembre 2014 «chiede se si deve preoccupare perché è andato al bar giù alla Farnesina dove c'era tutta gente pericolosa, poi aggiunge che è arrivato S.A. che non ha neanche ricambiato il suo saluto», scrivono gli inquirenti annotando come Terminali si senta rassicurato da quell'amicizia: «asserisce che quando gira con Gaudenzi è intoccabile». Anche prima di morire Terminali, secondo Rommel, gli aveva confidato le sue paure. L'ORO MALEDETTO Tutto, a detta di Gaudenzi, scaturirebbe da una verità che ruota attorno al commercio dell'oro. La vicenda inizia nel marzo del 2013, quando Fabio Gaudenzi chiama Filippo Maria Macchi. I due parlano di un import export di oro: «Tu stringi un rapporto con il capo villaggio dove c'è l'oro (...) gli dici senti io vengo già con l'aereo privato (...) noi ti diamo 100 mila dollari per pagare le tasse, però tu in cambio ci dai 3 chili d'oro che sono a garanzia dei 100 mila dollari (...) 3 chili d'oro sono 3 cosette così, te le metti in tasca e vai(...) Con un investimento del genere, del 4% fai delle plusvalenze che tu costruisci 50 ville capito?», spiegava Macchi. E per trovare i soldi che servivano all'affare, Gaudenzi si rivolge a Carminati. Il 20 aprile 2013 Gaudenzi, Macchi e una donna partono da Ciampino con un volo privato. In questo contesto Gaudenzi sarebbe venuto a conoscenza di qualcosa di pericoloso, noto anche a Terminali e Diabolik, che adesso lo spinge a puntare il dito contro «intoccabili» del mondo dell'imprenditoria. Un nome lo aveva fatto anche nel video: ed è proprio quello di Filippo Maria Macchi, definito «infame». ANCHE MACCHI AVEVA PAURA Se le parole di Gaudenzi siano solo un delirio lo stabiliranno gli inquirenti. Quel che è certo è che anche un altro protagonista di questa storia ha mostrato di temere qualcosa. Nell'aprile 2016, per evitare di testimoniare sulla faccenda dell'oro al processo Mafia Capitale, avrebbe messo in scena la morte di un parente. Alla fine - costretto a parlare - aveva minimizzato i fatti avvenuti e aveva ribadito, in maniera poco convincente, di non sentirsi intimidito. Così il pm Luca Tescaroli aveva mostrato alla Corte la trascrizione di un colloquio avvenuto in carcere pochi giorni prima. «Marescià sappiamo che queste so' persone che si sono rivalse e che si rivalgono con chi si rivolge contro di loro», avrebbe confidato il teste a un carabiniere, spiegando la sua paura di testimoniare. Alla fine il Tribunale aveva messo a verbale l'esistenza di elementi concreti che: «inducono a ritenere che il teste fosse stato sottoposto a minaccia».