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Diabolik dalla tentata scalata alla Lazio al narcotraffico

La storia giudiziaria di Fabrizio Piscitelli, storico capo ultrà biancoceleste ucciso a Roma in un agguato

Davide Di Santo
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Il ruolo di spicco nella Curva Nord, l'arresto per droga e la condanna per la tentata scalata alla Lazio. Il nome di Fabrizio Piscitelli, noto come Diabolik, ha attraversato le cronache sportive e giudiziarie degli ultimi anni. Lo storico capo ultrà degli Irriducibili ucciso oggi in un agguato al parco degli Acquedotti, a Cinecittà, aveva conquistato il settore più caldo del tifo biancoceleste all'inizio degli anni Duemila. Nel 2013 venne arrestato dalla Guardia di Finanza dopo un mese di ricerche in un appartamento alla periferia di Roma. Era accusato di essere a capo di un gruppo criminale che gestiva un traffico di droga internazionale dalla Spagna all'Italia. Tre anni dopo fu raggiunto da un sequestro di beni per due milioni di euro legato a questa vicenda, ma la confisca della villa di Grottaferrata fu revocata.  Secondo gli inquirenti che indagavano all'epoca sulla vicenda, Piscitelli era ritenuto un soggetto "pericoloso" da oltre 25 anni, "vissuto costantemente all'insegna della prepotenza e della sopraffazione sul prossimo, indifferente ai numerosi provvedimenti di polizia adottati nei suoi confronti" e si sarebbe "dedicato al crimine organizzato finanziando numerose importazioni di sostanze stupefacenti". Nel 2015 fu condannato, insieme ad altri tre capi ultrà della Curva Nord, per il tentativo di scalata alla Lazio. L'inchiesta coinvolse anche l'ex calciatore e bandiera biancoceleste, Giorgio Chinaglia.  Secondo la ricostruzione dei pm Rocco Fava, Vittoria Bonfanti ed Elisabetta Ceniccola, gli imputati avrebbero compiuto una "campagna" intimidatoria e di pressioni sul presidente del club Claudio Lotito finalizzata a fargli cedere il club ad un gruppo farmaceutico ungherese che sarebbe stato interessato all'acquisto e di cui Chinaglia sarebbe stato il portavoce.

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