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C'è un'arpa che suona nel cuore di Villa Borghese

Imbocchi via del Lago, a Villa Borghese. Passando sotto i rami bassi degli esemplari secolari di magnolia, si incappa in un mondo surreale davanti a uno scenario da cartolina che strega vista e anima. Percorrendo il sentiero che porta allo specchio d'acqua è come entrare in un incantesimo: una magia ti assale, ti conduce per mano a inseguire quelle note e quel canto, sublime. Ti giri e rigiri - non puoi fare a meno di farlo - per cercare di capire, sospeso tra sogno e realtà nella Città Eterna. E poi vedi lei, creatura che sembra venuta da un altro pianeta all'ombra dei lecci, in mezzo a piccole apparizioni di animali, in cima al laghetto. E ti blocchi dando un volto a quella voce, a quei gorgheggi, osservando quelle dita affusolate che ricamano melodie. Lei – in cui ci siamo fortuitamente imbattuti intenti a fare un servizio di tutt'altro genere nella Caput Mundi - è una ragazza romana. Si chiama Giovanna Ofelia Berardinelli, è un'arpista, fantastica, fra le poche in Italia, specializzata in musica celtica. E da un anno a questa parte incanta turisti e romani esibendosi nella villa. Intona la colonna sonora di Piovani de “La Vita è bella” e poi “Halleluyah” e alla gente brillano gli occhi in quel pezzetto di mondo onirico dentro Roma che non sembra neanche lei. Chi le allunga moneta, chi applaude, i più piccoli la osservano seduti a terra, ammaliati. Non ci crederete, ma un così quadro luminoso è nato “nelle stanze buie della depressione e degli attacchi di panico”. “Mi portarono a lasciare la mia attività”, racconta Giò (come si fa chiamare sui social). “Così mi ritrovai con la mia arpa a decidere cosa fare di lunghe giornate scure, tutte uguali. Cercavo pensieri rilassanti, dove trovare tregua. Mi tornò in mente un ricordo di bambina, in cui stavo con la cara zia su una barchetta a remi: al Giardino del Lago, proprio qui”. “E allora – continua - pensai di portare il mio strumento nel luogo di quel ricordo rassicurante. Ci tornai, aprii l'arpa, e suonai. Diventò a poco a poco un'abitudine, cominciai a sentirmi a casa e modellai il mio repertorio in base al luogo, scegliendo canzoni per le giornate assolate o ventose, per il sole basso invernale o per l'aria profumata delle sere di primavera”. Nelle panchine intorno a dove suona, la gente si siede per ascoltarla. “A seconda di chi si siede io cambio il programma”, ci dice Giovanna. “Agli innamorati canto canzoni d'amore, ai ragazzi che marinano la scuola delle pub song irlandesi. Ai bambini piacciono le canzoni a tempo di valzer, lo vedo, si muovono a ritmo sul passeggino”. C'è un signore che le porta la merenda tutti i giorni:  “Gli suono ‘Strangers in the Night', me l'ha chiesto lui, e vedo che si commuove sempre. Una signora anziana viene spesso con la badante: per lei suono le canzoni del repertorio francese”. Si stupisce Giovanna Ofelia, si stupisce dell'aspetto umano di quella che chiama la “sua esperienza”: “Molte persone – racconta ancora - vengono a parlare con me, alcuni vogliono sapere dell'arpa, altri vogliono parlami un po' della loro vita. Alcuni mi fanno anche dei regali: rose, libri, piccoli dipinti o disegni da qualche turista, una volta una borsetta, una medaglietta della Madonna. Mi lasciano un pezzetto della loro vita. Io mi sento privilegiata per questo. Inoltre, sono contenta”. Per cosa? “Perché ho pensato che i bambini o chi è in su con l'età, ad esempio, non hanno tante occasioni di ascoltare musica dal vivo, e sono felice che invece in villa ciò sia possibile”. Ha attirato perfino le anatre Giovanna Ofelia, uscite dal Lago perché estasiate dai suoi brani. “Penso che lui, il Lago, abbia ancora molto da insegnarmi: molte vite da incrociare, e io ho ancora molte canzoni da imparare…”.

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