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Morto sotto ai ferri, inizia il processo

Due medici sul banco degli imputati. Dal 2012 i pm hanno tentato per tre volte di archiviare

Andrea Ossino
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Quella che ha determinato la morte di Mario Finamore non è una colpa medica come tante. Il processo che inizierà oggi davanti ai giudici dell'ottava sezione del Tribunale di piazzale Clodio racconta la storia di una famiglia ferita due volte dallo Stato. La prima, come sostiene l'accusa, quando il dirigente Rai in pensione è morto a causa dell'errore di due medici dell'ospedale San Camillo Forlanini, a processo per omicidio colposo. E la seconda mentre chiedevano di conoscere la verità: per tre volte la Procura ha chiesto che il caso venisse archiviato, e per tre volte i giudici hanno “suggerito” ai pm di indagare meglio, determinando lungaggini giudiziarie che probabilmente porteranno alla prescrizione del processo. Una doppia ferita, per la famiglia della vittima. Eppure nel luglio del 2012 tutto sembrava essere sotto controllo. Il signor Finamore, 71 anni, fino a quel momento aveva goduto di una buona salute. In ospedale era andato per un intervento di angioplastica, nulla di urgente. I medici avevano però riscontrato “eccessive calcificazioni”, quindi avevano dato appuntamento al paziente dopo qualche mese. Il 7 settembre del 2012 il signor Finamore si era sottoposto a un'operazione che sarebbe dovuta durare 45 minuti. Ma le quattro ore d'intervento dicevano che qualcosa era andato storto. Gli imputati, Rosario Fiorilli e Roberto Violini, secondo l'accusa avrebbero perforato un'arteria coronarica. Non solo: “diagnosticata la complicanza non sottoponevano il paziente a un'attenta e prolungata osservazione clinica”. Dopo tre controlli nei primi 15 minuti, i successivi avvenivano a distanza di circa mezz'ora, nonostante la situazione apparisse più grave. L'epilogo della storia racconta la morte di un uomo, nella sala antistante l'Emodinamica, senza che un chirurgo venisse allertato. Dopo il dolore e i burocratici adempimenti, i parenti della vittima chiedevano solo una cosa: la verità. Ma dopo oltre sei anni dai fatti, sembra sempre più lontana: "I reati contestati sono prossimi alla prescrizione ed è una vergogna che per arrivare ad una semplice udienza di rinvio a giudizio, in presenza della morte di un paziente abbandonato nella sala antistante a quella dell'Emodinamica ci siano voluti 6 anni e ben 3 opposizione all'archiviazione", afferma l'avvocato di parte civile, Carlo Gamba. 

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