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Lei muore di tumore. E lui si uccide in ospedale

Gli comunicano il decesso della fidanzata e si butta dalle scale

Andrea Ossino
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«Ti amo, ti sto per raggiungere». È in questa frase che si racchiude la tragedia avvenuta giovedì scorso. Tra i corridoi del Policlinico Gemelli, Marco e Sonia hanno perso le loro battaglie. Nonostante le cure dei medici la ragazza non è riuscita a sconfiggere quel male che la perseguitava da tempo. E Marco, che pensava di non poter vivere senza la donna che amava, ha gettato la spugna lasciandosi andare a quella forma depressiva che lo stava distruggendo, pensando erroneamente di non avere altra alternativa che quella di gettarsi dalle scale dell'ospedale. I nomi sono inventati, ma la storia è drammaticamente reale. Non inizia giovedì scorso. Incomincia quando a Sonia viene diagnosticato un tumore all'utero. Un brutto male, una forma aggressiva. Inutile provare a comprendere la paura della ragazza, che quando aveva poco più di trent'anni si era trovata ad affrontare una situazione veramente difficile. Sembrava insormontabile, ma Marco le era restato accanto. Le visite, le terapie, gli sguardi compassionevoli degli amici. Non potevano credere che tutto quello stesse succedendo a loro. Ma c'era un motivo per lottare, per stare insieme. Marco e Sonia si amavano e avevano deciso di combattere a testa alta la loro lotta, giorno dopo giorno. Anche quando quel male avanzava, anche quando i medici dicevano di provare nuove terapie. La scienza però, nonostante i progressi, non è ancora riuscita a vincere la guerra contro questo tumore. E Sonia, giovedì scorso, è rimasta vittima dell'ennesima battaglia combattuta con ogni mezzo possibile. La forza di volontà della ragazza si è schiantata davanti la fragilità dei suoi organi, colpiti da una forma troppo aggressiva. Sotto un cielo grigio, mentre un'anomala pioggia di maggio bagnava le finestre del Policlinico Gemelli, Marco era stato costretto ad ascoltare quella frase che lo perseguitava nelle sue paure più grandi, quando pensava che tutto sarebbe andato male. Non poteva accettare quel responso irreversibile. Il suo cervello si era offuscato. Non aveva percepito altra via se non quella di gettare la spugna. In un attimo aveva erroneamente pensato che ci fosse un'unica via d'uscita, la più sbagliata. Erano da poco trascorse le sei e mezza del pomeriggio quando si era avvicinato alle scale. Nessuno poteva pensare cosa stesse per accadere. Poi un urlo era rimbombato tra i corridoi dell'ospedale: «Ti amo, ti sto per raggiungere». Il volo da un'altezza di diversi metri è l'ultimo capitolo di una tragedia che sembra essere partorita da Shakespeare, ma è drammaticamente reale e stravolge l'esistenza di due famiglie. Ora è il tempo dei burocratici accertamenti di rito, tanto doverosi, quanto aridi. L'apertura di un fascicolo in Procura, l'autopsia, gli esami clinici, i certificati e infine la restituzione della salma. Una triste routine a cui dovrà adempiere il sostituto procuratore Roberto Felici, il magistrato che era di turno giovedì scorso, allertato quando i medici avevano potuto solo constatare il decesso di Marco. Arriveranno i funerali, i pianti, fiumi di parole e l'ultimo saluto. Poi il silenzio, l'epilogo di una vicenda raccontata per ricordare che l'estrema scelta di Marco può essere evitata con un supporto adeguato.

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