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Caso Cucchi, otto carabinieri rischiano il processo

La procura di Roma porta a termine un nuovo filone di indagine

Carlo Antini
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A oltre nove anni dal pestaggio e dalla morte di Stefano Cucchi, il geometra di 32 anni deceduto il 22 ottobre del 2009 all'ospedale Sandro Pertini, sei giorni dopo essere stato arrestato dai carabinieri della stazione Appia per detenzione di stupefacenti, la procura di Roma porta a termine un nuovo filone di indagine sui depistaggi notificando l'avviso di conclusione, passo che di solito anticipa la richiesta di rinvio a giudizio, a otto militari dell'Arma (dal generale Alessandro Casarsa in giù) accusati, a vario titolo, di falso ideologico, omessa denuncia, favoreggiamento e calunnia. Le accuse, contestate dal pm Giovanni Musarò e dal procuratore Giuseppe Pignatone, si riferiscono a tutte le "manovre" che portarono a modificare le due annotazioni di servizio, redatte all'indomani della morte di Cucchi e riferite allo stato di salute del ragazzo quando, la notte tra il 15 e 16 ottobre 2009, a pestaggio avvenuto, venne portato alla caserma di Tor Sapienza. E alla mancata consegna in originale di quei documenti che la magistratura aveva sollecitato ai carabinieri nel novembre del 2015, quando era appena partita la nuova indagine e i tre agenti della polizia penitenziaria, all'inizio della vicenda accusati e finiti sotto processo per le botte, erano stati definitivamente assolti dalla Cassazione. Il nuovo procedimento penale questa volta chiama in causa, oltre a Casarsa, all'epoca comandante del gruppo Roma, anche i colonnelli Francesco Cavallo e Luciano Soligo, il luogotenente Massimiliano Colombo Labriola e il carabiniere scelto Francesco Di Sano, che rispondono di falso. Il colonnello Lorenzo Sabatino e il capitano Tiziano Testarmata sono accusati di favoreggiamento e omessa denuncia. Mentre a Luca De Cianni sono attribuiti il falso e la calunnia ai danni del supertestimone, il collega Riccardo Casamassima. Stando a quanto accertato dalla procura, la catena di falsi basati sulle note di servizio "taroccate" riferite allo stato di salute di Cucchi sarebbe partita da Casarsa e aveva lo scopo di coprire le responsabilità di quei carabinieri che hanno causato a Cucchi «le lesioni che nei giorni successivi gli determinarono il decesso». Non a caso è in corso in corte d'assise il processo a cinque militari, tre dei quali rispondono di omicidio preterintenzionale per essere stati gli autori del pestaggio, poi confessato mesi fa al pm da uno degli imputati (Francesco Tedesco) in ben tre interrogatori. Da quelle note fu fatta sparire la circostanza che Cucchi lamentava dolori alla testa, al costato e che non poteva camminare mentre si attestò falsamente che il dolore alle ossa dipendeva «dalla temperatura fredda/umida e dalla rigidità della tavola del letto dove comunque aveva dormito per poco tempo, dolenzia accusata per la sua accentuata magrezza». E il malessere generale del ragazzo venne attribuito «al suo stato di tossicodipendenza». Dal canto loro, Sabatino (ex capo del nucleo operativo) e Testarmata (che guidava la quarta sezione del nucleo investigativo), delegati dalla procura ad acquisire nuove carte nell'ambito dell'indagine bis, ebbero modo di rendersi conto (nel novembre del 2015) della falsità di queste annotazioni del 2009 ma evitarono di segnalare la cosa all'autorità giudiziaria. In questo modo favorirono gli autori degli stessi falsi. Testarmata poi, scoperto che era stato alterato il registro di fotosegnalamento dell'epoca con il nome di Cucchi "sbianchettato", non solo non acquisì il documento originale ma neppure riportò la circostanza nella relazione di servizio. C'è poi De Cianni che in una nota di pg accusò Casamassima, sapendolo innocente, di aver fatto dichiarazioni gradite alla famiglia Cucchi dietro la promessa di soldi da parte di Ilaria, sorella di Stefano. Casamassima, che per aver collaborato con la magistratura e aver dato un impulso significativo alle nuove indagini ha subito pressioni e ritorsioni, compreso un trasferimento ad altro incarico e relativo demansionamento, gli avrebbe riferito che Cucchi la sera dell'arresto tentò gesti di autolesionismo e che fu solo schiaffeggiato, non certo pestato. Dichiarazioni false che De Cianni ribadì anche in un interrogatorio fatto alla squadra mobile. Durissimo il commento di Ilaria: «La procura di Roma ha indicato chi sono i responsabili di una catena di falsi sullo stato di salute di mio fratello Stefano. Costoro hanno fatto danni enormi nel processo sbagliato e continuano a farne. Dire che Stefano era malato prima del suo arresto era falso e strumentale. Noi lo sappiano bene, come decine di testimoni hanno riferito. È ora che si vergognino». Intanto è in corso di svolgimento il terzo processo d'appello ai medici del Pertini, dopo due annullamenti delle sentenze di assoluzione da parte della Cassazione: imputati sono il primario Aldo Fierro e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo che ebbero in cura Cucchi. Anche se il reato contestato (l'omicidio colposo) è da tempo prescritto, la seconda corte d'assise d'appello dedicherà la prossima udienza (25 marzo) all'audizione dei periti incaricati di spiegare come si sia arrivati alla morte di Cucchi. Dall'analisi delle vecchie cartelle cliniche e delle varie perizie, si è ritenuto che «la causa del decesso fosse una morte cardiaca su base aritmica su un paziente che già prima del ricovero era in una condizione proaritmica per la malnutrizione e per molteplici altri fattori di rischio aritmogeno. Il protrarsi dell'ipoalimentazione/digiuno durante il ricovero al Pertini, con conseguente bradicardia e ipoglicemia gravi, ha determinato il peggioramento delle condizioni generali fino al decesso». Conclusioni contestate duramente dalla famiglia Cucchi alla luce di quanto sta emergendo a carico dei carabinieri.

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