la sparatoria all'axa
"Qui ci sono i figli del disinteresse, non ci sono spazi di aggregazione"
“Dove stavate fino a un mese fa? Dove stavano tutti quando la gente dei lotti restava al buio e sui muri la muffa mangiava vernice e mobili?”. Le facce che si voltano dall’altra parte, incalzate da chi è rimasto a calpestare le strade disastrate del Villaggio San Giorgio, si fanno dritte d’un tratto per spiegare quell’omertà figlia della delusione. Questa enclave di Acilia, stretta tra le ambizioni di qualche costruttore visionario e la caserma dei carabinieri diventata centro di ascolto per mamme disperate, è oggi la culla di ragazzini cresciuti con il mito di Gomorra. Lorenzo Marinelli e Daniel Bazzano in questi lotti tormentati dall’incuria sono nati, hanno fatto i primi sbagli e si sono nascosti quando i poliziotti gli davano la caccia. “Sono i figli del disinteresse di chi avrebbe potuto offrire loro un’alternativa”, dicono gli anziani del posto. Seduti ai tavolini del bar alle spalle del decadente mercato coperto, chiamano i giornalisti “terroristi” perché non si vedono se non per ficcare il naso in storie che non gli appartengono mentre le loro case perdono pezzi e i figli annoiati prendono strade più spianate. Al Villaggio San Giorgio la vita inizia già stretta. Gli inquilini delle palazzine annerite dalle perdite d’acqua e dal logorio del tempo imparano a dividere spazi di trenta, quaranta metri quadri con genitori, nonni, zii che ancora non si sono sistemati. “Coatti”, ma non nel senso di borgatari: ristretti, chiusi, costretti in appartamenti assegnati a capifamiglia magari passati all’altro mondo con l’unica eredità che non basta per famiglie giovani e prolifiche. La scuola è un’occasione che in pochissimi sfruttano, attirati dalla “sirena” della strada che li ammalia da piccoli offrendo loro un’alternativa ai sacrifici di genitori esasperati in una borgata senza luce. Le Madonne agli angoli della strada, attaccate ai palazzi, infiorate nei cortili, giganti all’oratorio sembrano implorare aiuto per le adolescenti già tatuate e i bulli con il doppio taglio. Troppo lontani dai loro coetanei divisi dalla lingua di asfalto che si chiama via di Macchia Saponara e così riconoscibili quando si ritrovano in un locale a metà strada, come l’Irish pub in piazza Eschilo. “Non ci sono spazi di aggregazione” insistono i residenti del Villaggio. Eppure la biblioteca Sandro Onofri, realizzata come riscatto per il quartiere, è popolata da tre soli figli di San Giorgio, due sognano di fare i medici l’altro di passare il corso per diventare notaio. L’oratorio canossiano della parrocchia di San Giorgio Martire è aperto tutti i pomeriggi dalle 16 alle 19,30 a eccezione del lunedì, unico giorno in cui non ci sono attività. Padre Giuseppe, che in passato ha celebrato messa nella parrocchia Santa Melania all’Axa, illustra le proposte per i ragazzi del quartiere mentre vestito da operaio pulisce i vetri sporcati dai lavori di abbellimento. Ha scelto di resistere in questa zona di frontiera, dandosi da fare per migliorare uno spazio dove si offre un dopo scuola gratuito con aiuto compiti, corsi di judo, tornei di ping-pong, con la possibilità di sfruttare i campi da calcetto, la pista da pattinaggio e di scegliere insieme un film per il cineforum ogni venerdì. Allora cosa manca? “E’ il degrado che chiama degrado, con le luci che cambiamo da soli e interventi di manutenzione che non vengono mai fatti - racconta un ragazzo -. Ci hanno messo in piazza un monumento alle Foibe, quando qui nemmeno sanno cosa siano. Gli alberi crollano sulle nostre strade, sui giochi dei parchi aperti e sulle macchine comprate a rate. Le buche non le ripara nessuno e l’immondizia marcisce agli angoli delle strade deturpate”. Manuel Mateo Bortuzzo ha pagato per tutti quelli che non sono riusciti a salvare questo quartiere, vittima innocente di due ragazzi che sognavano di diventare i “boss” di poveri con le croci in faccia e le ciglia finte che battono su occhiali solo di plastica.